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Yemen, una guerra estera che è un affare interno saudita

Yemen

Di Ángeles Espinosa. El País (05/05/2015) Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

In Yemen la posta in gioco fissata dal re Salman è molto più alta che non il semplice prestigio regionale dell’Arabia Saudita. Una politica estera più attiva ha a che fare senza dubbio con l’espansionismo dell’Iran sciita, ma anche con la sfida interna che è Daesh (ISIS). Questo gruppo, che si presenta come l’unico difensore dei sunniti in Iraq e in Siria, risulta sempre più attraente per alcuni settori della popolazione saudita. Per questo in Yemen non si delucida solo il futuro di questo Paese, ma anche la sopravvivenza della dinastia al Saud.

Questo perché, come spiega un professore universitario, “la peggiore minaccia esistenziale del regime saudita non sono né l’Iran né gli Houthi, ma la nuova generazione di sauditi che simpatizzano per il Daesh”. Per questo professore, come per altri intellettuali e attivisti critici, non ha nessun senso bombardare un Paese povero come lo Yemen.

“Mohammad bin Salman ha bisogno di mostrarsi come un eroe e sta avendo successo tra i più settari. È tutta una questione personale”, dichiara un’attivista che sostiene che l’operazione militare sia solo una grande campagna elettorale. A quanto pare la tattica ha funzionato, perché sia gli islamisti sia i liberali hanno appoggiato l’intervento militare.

L’eccezione è formata da un piccolo gruppo di intellettuali sciiti che sostengono che la guerra in Yemen sia carente di una visione politica e militare e che è condannata al fallimento. Il malessere degli sciiti della Provincia Orientale risale sia all’operazione militare sia alla retorica anti-sciita che questa ha generato. I difensori dei diritti umani hanno in effetti denunciato un settarismo galoppante sia nei programmi televisivi che nei sermoni, malgrado i dirigenti sauditi abbiano dichiarato che la guerra non è contro gli sciiti né contro l’Iran, ma che il tentativo è esclusivamente di frenare la sua influenza nel mondo arabo.

Tuttavia alcuni analisti vedono la guerra come una formula per tentare di recuperare la leadership a livello sia regionale che interno. “Salman era probabilmente preoccupato dalla concorrenza del califfato”, spiega la storica Madawi al-Rashid. secondo cui “una guerra all’estero era necessaria per mettere a tacere alcuni gruppi locali propensi ad ascoltare gli appelli di Daesh che garantisce di difendere i musulmani sunniti dalle mattanze degli sciiti affiliati all’Iran in Iraq e in Siria”.

Bisogna vedere se questo appoggio riuscirà a mantenersi a lungo senza apportare cambiamenti politici di un certo tenore.

Ángeles Espinosa è la corrispondente da Dubai per El País.

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