Middle East Online (27/02/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.
Da quando il presidente yemenita Abd Rabbo Mansur Hadi è fuggito da Sana’a stabilendosi ad Aden, questa città, capitale della vecchia Repubblica Democratica dello Yemen, ospita non solo incontri diplomatici internazionali, ma anche le sedi di molte ambasciate estere, prime tra tutti quelle di Egitto, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait. Tra le prossime aperture illustri, Regno Unito e Stati Uniti. Intanto nella capitale Sana’a, attualmente in mano alle milizie sciite di Ansar Allah (o Houthi), è atterrato il primo volo di linea iraniano della compagnia Mahan Air, dopo la stipula di un accordo “ufficiale” in materia. Il cammino del Paese verso la scissione appare sempre più probabile.
Ad Aden il 26 febbraio Hadi ha incontrato l’inviato delle Nazioni Unite Jamal Benomar, che ha espresso ottimismo per la scelta del presidente yemenita di mantenere la sua carica nonostante il colpo di stato degli Houthi. Un fatto che “dovrebbe aiutare lo Yemen a uscire dalla crisi”. Oggetto di discussione ovviamente la “situazione anormale” che il Paese vive in questo momento, con una capitale de iure, Sana’a, controllata dal governo de facto, e una capitale de facto, Aden, che ospita il presidente de iure in esilio, ma in possesso di pieni poteri riconosciuti dalla comunità internazionale. Il capo della milizia sciita Abdel Malek al-Houthi, fresco di colpo di Stato, ha addirittura accusato Hadi di “destabilizzare lo Yemen, alimentare il conflitto e aggravare la crisi”. L’unica soluzione, ha aggiunto, è la “dichiarazione costituzionale” diffusa dalla sua milizia il 6 febbraio scorso.
Immediatamente prima di di Benomar ad Aden era stato il segretario generale del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) Abdullatif al-Zayani, a portare il sostegno delle petromonarchie. Queste osservano gli sviluppi della situazione con crescente preoccupazione, soprattutto per i legami diplomatici che Teheran sta istituendo con gli Houthi. Infatti, un’altra questione, visto che una scissione in Yemen del Nord (nuovamente sciita) e Yemen del Sud non è da escludere, è chi sosterrà l’eventuale esecutivo di Aden. Il CCG teme un’ascesa del movimento sudista, indipendentista e laico da sempre. Un’ipotesi cui Riyad non vuole neppure pensare, dopo i ripetuti e lauti sostegni finanziari alle forze politiche islamiche sunnite come il partito al-Ishlah.
Le monarchie del Golfo portano dunque avanti la guerra per procura con l’Iran per la supremazia regionale. Non a caso sono state i primi Paesi a riaprire le loro ambasciate ad Aden, ora divenuta, come dice l’analista politico yemenita Thabit Hussein, il nuovo “centro di gravità politica e diplomatica”, anche a causa del sostegno popolare che Hadi ha ricevuto al sud dopo la sua fuga da Sana’a. Anche le principali tribù del governatorato di Marib hanno lo hanno invitato a proclamare Aden “capitale temporanea finché Sana’a non verrà liberata”. Ciò è ancor più significativo se si pensa che sono state proprio le tribù dello Yemen centro-meridionale ad aver fermato gli Houthi insieme ai gruppi legati ad Al-Qaeda.