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Yarmouk sugli schermi di Times Square, partiamo da New York ma andiamo oltre

In copertina, il flash mob di Times Square, foto di Rebekah Kosinski

Quello che è avvenuto tre sere fa a New York e a Tokyo comprende molte delle parole arabe di cui ci ha parlato Yarmouk in questi mesi. khubz, pane, scrivevano e scrivono dal campo. Anche sui muri. Lo ha disegnato Hani Abbas a gennaio dedicandolo alla piccola Alaa al-Masri che stava morendo di fame: lui ha immaginato una bambina che dal cielo lanciava il pane a un bambino rimasto nel campo. ju’u, la fame, e tajfif, la disidratazione, hanno ucciso negli ultimi giorni almeno altre due persone: Mohammad Diab al-Sous e Adnan al-Jabi. Il numero delle vittime di quest’arma usata dal regime siriano è salito almeno tra le 135 e le 138.

Mentre scrivevo queste riflessioni, era il 21 marzo: a Yarmouk questa data ha segnato il 250° giorno d’assedio totale. Come abbiamo imparato si chiama hisar, in arabo. In questi giorni i bombardamenti, qasf, da parte del regime e dei suoi alleati arrivano anche in quei pochi momenti in cui si riesce a ristabilire lo scarso flusso degli aiuti umanitari. Solo due giorni fa sono rimasti uccisi Khaled Saadiya Abu Mohammad e Imad Dowah Abu Majed: entrambi si dirigevano verso il punto di distribuzione degli aiuti e sono morti il primo durante un bombardamento del campo e il secondo raggiunto da colpi d’arma da fuoco [in questo caso non si sa se per mano del regime o dei gruppi d’opposizione che vi si scontrano]. La natura del flash mob non seguiva questo tipo di sviluppi, ma può – dovrebbe – diventare un’occasione per approfondirli.

Claudia 23 mar flashmob yarmouk
Dal flash mob di Times Square, foto di Rasha Mahmoud

Il pane, la fame, la sete, l’assedio: sono entrati nel vivo di Times Square, New York, e in contemporanea di Shibuya, Tokyo. Due apparizioni sugli schermi delle due piazze, negli Stati Uniti alle 19.30 e alle 20.30, finanziate da un donatore anonimo e parte di una grande campagna lanciata dall’UNRWA. L’immagine che è comparsa su quegli schermi è la foto che mostra le file oceaniche degli abitanti del campo che attendono di ricevere gli aiuti dalla stessa agenzia. Decine di persone, riunite sotto agli schermi, tenevano in mano del pane, nel gesto di protenderlo verso gli abitanti di Yarmouk ritratti nella foto.

Dal servizio che la BBC ha dedicato all’evento, si nota che nella piazza americana sventolava almeno una bandiera della rivoluzione siriana, e sull’immagine dello schermo si leggeva la scritta “Fateci entrare per aiutare i civili in Siria”. Lo sottolineo perché mi ha colpito che sul New York Times in una pagina dedicata agli eventi in città in cui si cita il flashmob, dalla loro urgenza di chiarire un malinteso si rischia in realtà di distorcere la percezione dei lettori. Vi si legge: “Una foto di rifugiati palestinesi in Siria (non di siriani, come avevamo riportato prima)”.

Il punto è che quei palestinesi invece sono anche siriani, il regime che li sta uccidendo è quello siriano, il campo in cui vivono è un quartiere di Damasco: è siriano. Wahid, wahid, wahid, filastiniy w suriy wahid (Unico, unico, unico, palestinesi e siriani sono un unico popolo): lo cantavano a Yarmouk anche il 16 gennaio scorso dopo che – invece degli aiuti promessi – il regime di Assad ha bombardato il campo causando almeno 5 morti e decine di feriti.

“È importante mostrare al mondo che il popolo siriano e soprattutto i bambini e le donne, stanno lottando”: a dirlo, sempre nel servizio della BBC, è un uomo sceso in quella piazza che indossa una kefiah – simbolo della resistenza palestinese – e fa sventolare una bandiera della rivoluzione siriana. In quell’uomo per me è sintetizzata l’immagine che descrive in due semplici elementi (la kefiah, la bandiera) cosa bisogna tenere bene a mente quando si parla dei campi palestinesi in Siria e di ciò che stanno subendo da parte del regime siriano.

Il servizio si conclude con queste parole pronunciate da un altro giovane che ha preso parte al flash mob: “Tutti camminano qui intorno e guardano i bei vestiti, le pubblicità: è tempo che la gente guardi a qualcosa di così umanitario da toccare la loro umanità e la loro anima. Questo è qualcosa di nuovo, che la gente non è solita vedere a Times Square”. La foto è rimasta su quegli schermi per due intervalli di cinque minuti. Scomparsa quell’immagine, cerchiamo di continuare a registrare i fotogrammi che ci sta mostrando Yarmouk. Anche e soprattutto quando ci appaiono più difficili da guardare.

Claudia Avolio

Guarda il servizio della BBC sul flashmob per Yarmouk a Times Square, NY