Di Subhi Hadidi. Al-Quds Al-Arabi (19/09/2013). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi
Obama ha recentemente ammesso uno scambio epistolare con il neo presidente iraniano Rohani, il quale, a sua volta, in un’intervista alla NBC ha dichiarato di avere piena autorità per negoziare con l’Occidente sul programma nucleare. Dal suo punto di vista, la lettera inviatagli dal presidente americano è “positiva e costruttiva”, uno dei piccoli passi verso un “futuro importante”.
Anche Putin e Xi Jinping, a margine del summit dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione in corso a Bishkek, hanno elogiato il “clima positivo” che si è creato tra il presidente americano e quello iraniano.
Il verde più importante alla ripresa di un dialogo con gli Stati Uniti l’ha dato l’Ayatollah Ali Khamenei, che si è detto favorevole ad una “diplomazia flessibile” a condizione che sia “eroica”. A volte il lottatore mostra tolleranza per motivi tattici – ha spiegato – ma non deve mai perdere di vista l’avversario o il nemico. È dunque chiaro Rohani ha avuto il permesso di ballare il tango con Obama, non solo per quanto riguarda il nucleare ma anche altre questioni, compreso il destino del regime siriano.
Ma al tempo stesso Khamenei ha chiesto al generale Qassem Suleimani, capo della Quds Force, di studiare dei “movimenti artistici flessibili” di natura tattica, nel caso Rohani rassicuri la Casa Bianca che l’Iran non fabbricherà armi nucleari (per la gioia di Israele).
Si ritorna quindi al 2009, quando Obama inviò al popolo iraniano un messaggio di auguri in occasione del capodanno persiano, rappresentando una svolta rispetto all’amministrazione precedente e al discorso neoconservatore, con particolare riferimento all’Iran come parte dell’asse del male di Bush.
Tuttavia, l’esito dei tentativi precedenti all’ascesa dei neocon non fa ben sperare. Una decina d’anni fa l’allora segretario di stato Madeleine Albright aveva invitato a disegnare una road map per la normalizzazione delle relazioni con l’Iran, ma il divario invece di colmarsi – come lei stessa auspicava nel discorso alla Asia Society – è diventato più ampio. Senza contare che oggi ci sono ben quattro questioni incandescenti assenti nel 1998: il programma nucleare iraniano, il regime di al-Assad, l’Iraq e Nuri al-Maliki ed Hezbollah. E non c’è più Khatami, il presidente più moderato e illuminato nella storia della rivoluzione iraniana, che in un’intervista alla CNN – la prima dal 1979 – lanciava un messaggio moderato con l’obiettivo di avviare una nuova fase nelle relazioni con gli Stati Uniti.
In generale, la posizione americana nei confronti dell’Iran è definita da tre no: il sostegno a quelli che Washington definisce “movimenti terroristici islamici”, in particolare Hezbollah; l’insistenza a sviluppare capacità nucleari; infine, la posizione riguardo al processo di pace arabo-israeliano. A margine di tutto ciò c’è l’Iraq come una spina nel fianco, forse ancor di più dopo il ritiro. E nelle ultime settimane il regime di al-Assad, sia nella sua dimensione interna che riguarda la rivolta popolare e la polarizzazione delle forze d’opposizione, sia in quella regionale – Iran, Turchia, Golfo, Israele.
È probabile, quindi, che la divisione dei compiti tra il lottatore e il ballerino di tango produrrà risultati incoerenti e contraddittori invece che armonici e integrati. Saranno i giorni a venire a chiarire meglio la differenza tra la “tolleranza eroica” della lotta e i “movimenti artistici” del tango!
Add Comment