Al-Quds al-arabi (09/12/2017). Traduzione e sintesi di Laura Serraino.
Decine di migliaia di manifestanti nel mondo hanno espresso la loro rabbia e condanna per quello che è successo, dichiarando la loro solidarietà a Gerusalemme e ai Palestinesi, dalla Giordania al Marocco, dal Sudan all’Afghanistan. Negli stati del Golfo i sermoni del venerdì hanno denigrato la decisione americana e un predicatore di una delle più grandi moschee del Qatar ha dichiarato “i musulmani raccolgono i frutti del loro codardo silenzio”, mentre i predicatori sauditi hanno assicurato che il regno “non rinuncerà ai suoi principi sulla questione palestinese”. Forse le forme di solidarietà più significative sono state quelle della città yemenita di Ta’izz e delle zone siriane assediate dal regime nelle campagne di Idlib, Aleppo e Damasco, probabilmente più vicine alle condizioni di vita dei Palestinesi.
E forse vale la pena di ricordare che la questione palestinese ha continuato e continua a scatenare solidarietà e partecipazione attiva da parte dei popoli arabi senza eccezione. Questo nonostante sia anche un argomento imbarazzante e soggetto a manipolazione da parte di alcuni regimi che hanno cercato di impadronirsi dell’enorme energia di cambiamento provocata da quella questione tentando di controllare le risorse dei suoi movimenti politici per seppellire la loro lotta o alterarne il fine o commercializzarla, danneggiando i Palestinesi e la loro causa e, in alcuni casi, per entrare in guerra contro di loro o contribuire a uccidere i loro leader.
Analizzando la storia nel dettaglio, si palesano nelle menti dei Palestinesi decine di anni di contraddizioni esposte tra gli slogan dei regimi a supporto della questione palestinese e pratiche degradanti e discriminanti contro di loro nei campi, negli aeroporti, insieme alle barriere ai confini, alle violazioni dei loro diritti umani più elementari come il diritto di proprietà, di residenza, di viaggio, d’istruzione.
Con tutto ciò non possiamo comprendere cosa sta accadendo in Palestina oggi senza collegare il fallimento delle rivoluzioni arabe e l’impossibilità del cambiamento, insieme all’indebolimento di Hamas e dell’OLP, alla soppressione delle tendenze islamiche democratiche sotto il nome di “lotta al terrorismo”, per arrivare a quello che viene chiamato “il contratto del secolo” di cui fa parte la decisione di Trump. Capire tali questioni rende i Palestinesi consapevoli del fatto che non sono soli davanti alla macchina dell’oppressione israeliana e che portano in sé l’embrione della lotta araba in generale, nonostante la loro situazione. Nelle manifestazioni di strada e piazza a cui hanno partecipato negli ultimi due giorni, i Palestinesi sono stati i rappresentanti nel mondo di chi si batte contro tutte le forme di ingiustizia.
La nuova intifada palestinese è necessariamente un’intifada araba.
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