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Venezia: l’esposizione “Benvenuti in Iraq” alla Biennale

imagesElaph (12/06/2013). L’Iraq partecipa per la seconda volta al più grande evento artistico al mondo: la Biennale di Venezia che gli riserva un intero padiglione. Le opere in mostra appartengono ad artisti immersi nella realtà iraqena, al contrario della prima volta in cui i partecipanti vivevano fuori dal paese.  Si tratta di 11 artisti emergenti in un paese in cui il disegno e la scultura sembrano rivestire un ruolo secondario rispetto alla lotta quotidiana per la sopravvivenza e contro la follia.  Le loro opere sono state selezionate dalla Fondazione Ruya per l’Arte contemporanea che le ha radunate sotto l’etichetta: “Benvenuti in Iraq”.

Lo scopo era di mostrare uno spaccato di vita in Iraq diverso da quello diffuso dai media, fatto quasi unicamente di distruzione, esplosioni e bombe. La direttrice della Fondazione, Tamara Chalabi, ha dichiarato che quest’esposizione non intende abbellire l’immagine dell’Iraq ma mira ad ascoltare la voce di un’umanità di cui nessuno si interessa. La stessa direttrice racconta che l’arte iraqena ha dovuto riaffiorare dalle ceneri lasciate dall’invasione e dalla lotta per la sopravvivenza. In una situazione in cui i pericoli si nascondono dietro ogni angolo l’arte si è dovuta emancipare dalle catene poste dalla repressione e dalla censura del governo precedente. La libera creatività è stata in effetti a lungo messa al bando e l’estetica ha subito un grave contraccolpo.

Tamara Chalabi, insieme a Jonathan Watkins, direttore della Ikon Gallery  a Birmingham, hanno iniziato a cercare artisti originari del Kurdistan, di Basra e di Baghdad. E’ così che sono riusciti a mettere insieme il caricaturista Abdul Raheem Yassir, il pittore di arte figurativa ‘Aqil Kharif,  l’artista di Basra Hasheem Taeeh , la cineasta Farat al Jamil, e il fotografo Jamal Penjweny.

La serie di foto “Saddam è qui”, di cui è autore Penjweny, ha suscitato un interesse rilevante nella critica e nei visitatori. Le foto ritraggono degli Iracheni indaffarati a svolgere le faccende della vita quotidiana con la faccia coperta da una foto-maschera di Saddam. Quest’opera fa riflettere su quanto  la mentalità dell’ex regime sia ancora radicata negli spiriti.

Una delle sale del padiglione è interamente arredata con dei mobili fatti di cartone riciclato, dal letto al tappeto, dalla lampada alla sveglia fino ad arrivare ad uno scaffale su cui poggiano dei libri. L’artista Taeeh dice di aver incominciato ad utilizzare questo materiale durante l’assedio, quando l’Irak fu flagellato dalle sanzioni economiche. Era il 1991, anno in cui il prezzo di qualsiasi bene salì alle stelle, inclusi i materiali artistici, la pittura ad olio, i colori e le tele. Taeeh decise allora di optare per l’economicità del cartone. La sua opinione al riguardo viene riportata dal giornale The Guardian: “E’ un materiale fragile, proprio come la nostra vita e la nostra democrazia”.

Watkins osserva come molte opere simboleggino la lotta per restare, sopravvivere, e sapersela cavare con idee originali in una situazione così difficile.

Tamara Chalbi crede che solo la prossima generazione potrà capire i fatti successi da 10 anni a questa parte, da quando l’Iraq è stato occupato militarmente: “Per filtrare la guerra tramite una lente artistica ci vuole tempo e  una certa distanza dagli eventi”, afferma.

Tuttavia alcuni artisti irakeni vedono le loro opere come uno spazio dove potersi ritirare con sé stessi, e non come un’arma politica.

La cineasta al Jamil, che partecipa alla Biennale con un cortometraggio, sostiene che gli artisti vivono in un mondo a parte dove l’universo esterno non ha accesso.

La Biennale è visitabile fino al 24 novembre 2013.