“Variazioni di luna” di Patrizia Fiocchetti, Lorusso Editore, è un breve ma intenso libro nel quale l’autrice ha voluto raccontare l’attivismo delle donne combattenti in Kurdistan, Iran e Afghanistan.
Il titolo nasce dalla parola Mah, che nella mitologia persiana è la rappresentazione della luna, ma è altresì la radice di molti nomi femminili, rappresentando quindi tante variazioni di luna.
E queste variazioni prendono il volto e le storie di Mahshid, Mahtab, Mahin, tutte donne che hanno deciso di dedicare la propria esistenza alla lotta per la liberazione del proprio popolo dall’oppressore di turno. Donne che si ribellano alla sottomissione a cui tradizioni secolari le vogliono ancora subalterne. Donne che prendono le redini delle proprie esistenze e, a volte, finiscono anche per condurre quelle di compagni maschi, subordinati militarmente.
I percorsi di vita di queste combattenti si incrociano con quello dell’autrice che per anni ha militato fra le fila della resistenza al regime khomeinista fino a quando ha deciso di raccontare la propria esperienza e quelle di tutte le compagne che ha incontrato.
Un passaggio, quello da attivista a narratrice, che, come racconta la stessa Fiocchetti, non è stato facile né indolore. Ha richiesto una notevole dose di distacco dalla propria esperienza personale per evitare di trasformare la narrazione in pura autobiografia, ma ha anche richiesto una analisi interiore alla ricerca di fatti, parole, episodi, affollati nel magazzino della memoria.
Il lavoro che ne è scaturito è notevole in quanto riesce a catturare l’attenzione del lettore che lentamente ma inesorabilmente si ritrova a condividere esperienze dure ed esaltanti insieme, e a empatizzare con l’entusiasmo che queste coraggiose donne combattenti infondono nelle loro azioni e nella loro intera esistenza, pur consapevoli dei rischi e dei pericoli che quotidianamente le inseguono.
“Mahmuda si levò in piedi, i neri capelli ondulati intorno al viso d’ambra, indossò il fazzoletto segno che era giunta l’ora di rimetterci in cammino. Quella di Razie fu l’ultima narrazione che raccolsi, il giorno dopo sarei rientrata in Italia. Nel viaggio attraverso i quartieri miserabili, le viuzze di fango e polvere, le abitazioni essenziali e dignitose, a incontrare la memoria di alcune donne che erano sopravvissute coraggiosamente a vessazioni, sopraffazione e violenza, Mahmuda la giovane attivista di Rawa era stata la mia guida. Mentre ascoltavo, registravo, prendevo appunti delle parole che raccontavano di dolore, lacrime, e di orgoglio e fiducia, imparavo a capire la potenza dell’opera svolta dalle donne di questa antica organizzazione”.
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