Il capo del dipartimento di ricerca della divisione dell’intelligence militare israeliana mette in guardia dal credere che il mondo arabo dimenticherà improvvisamente la causa palestinese, la quale – come ha detto in un’intervista al quotidiano Yediot Aharonot – «è ferma davanti alle nostre porte come una bomba a orologeria».
di Ali Haydar, Al-Akhbar, (14 ottobre 2020). Traduzione e sintesi di Francesca Martino
È evidente la delusione per non dire lo shock provato dalle autorità competenti dell’entità nemica israeliana dinanzi ai risultati di uno studio pubblicato dal ministero degli Affari Strategici e della Propaganda, secondo i quali il 90% degli utenti dei social media del mondo arabo si oppone alla normalizzazione con Israele. Questo studio si inserisce in un quadro di monitoraggio costante, che le stesse autorità svolgono per valutare gli effetti delle campagne politiche e mediatiche volte a legittimare l’occupazione della Palestina e a consacrare Israele come un fatto compiuto. Esso è stato distribuito ai funzionari del governo e della sicurezza, il che la dice lunga sulla sua importanza per gli organi decisionali di Tel Aviv.
Sebbene abbia coinciso con il picco della spinta verso la normalizzazione nel Golfo, il nuovo studio – basato a sua volta su una ricerca condotta tra il 12 agosto e l’8 settembre – va al di là di questo evento e i suoi risultati provano che tutti gli accordi finora collezionati, da Camp David nel 1978 a Oslo e Wadi Araba, fino a quelli più recenti, possono crollare alla prima occasione.
Nel 2015 il governo israeliano ha affidato al ministero degli Affari Strategici e della Propaganda il compito di lavorare contro quella che nella letteratura nazionale viene chiamata «delegittimazione dello Stato di Israele» e contro il movimento contestatario BDS. Il ministero ha allora assunto il coordinamento degli sforzi governativi nella cosiddetta «battaglia di sensibilizzazione» in tutte le sue dimensioni ̶ propagandistica, accademica, economica, culturale e giuridica ̶ e sottopone un rapporto periodico alle autorità competenti.
È in questo contesto che la ministra Orit Farkash-Hacohen – che presto terminerà il suo mandato e passerà al ministero del Turismo – ha lanciato un’iniziativa per cercare di cambiare la visione negativa di cui soffre Israele, e ciò attraverso internet e i social media, partendo dal presupposto che buona parte del dibattito si svolga lì. Il recente studio rientra dunque nella «battaglia di sensibilizzazione» mediante la quale l’entità nemica cerca di parlare alle piazze arabe.
Riguardo ai contenuti dello studio, è emerso che «gran parte dei discorsi negativi contengono una dura condanna contro Emirati Arabi Uniti e Bahrein, accusati di tradimento nei confronti dei palestinesi e di essere alla mercé di Israele e Stati Uniti». Da notare che questi risultati giungono nonostante gli ingenti sforzi profusi sui social network da entrambi i governi, Abu Dhabi e Manama, per giustificare la loro decisione: «un discorso religioso per difendere la dimensione legittima degli accordi e l’accento sui vantaggi economici e politici, nonché sul blocco del piano di annessione israeliano».
Analizzando le discussioni in arabo circolanti su Facebook, Twitter, Instagram e YouTube nei giorni immediatamente precedenti la firma degli accordi con Emirati e Bahrein, lo studio ha evidenziato che la stragrande maggioranza (90%) ha espresso «sentimenti negativi» verso la normalizzazione e che solo il 5% la vede «positivamente», pubblicando post contenenti la parola «pace». Gli atteggiamenti negativi sono stati suddivisi come segue: il 45% si concentra sull’accusa di tradimento nei confronti dei palestinesi rivolta agli Emirati; il 27% sull’opposizione a qualunque accordo con i sionisti; il 10% sul fatto che questo accordo è espressione di ipocrisia da parte degli Emirati; il 5% lo considera un segno di arrendevolezza agli Stati Uniti e il 4% un segno di cupidigia.
Più di 100 milioni di persone hanno utilizzato hashtag come #normalizzazioneètradimento, #Bahreincontrolanormalizzazione. D’altra parte, le opinioni dei sostenitori hanno evidenziato i risvolti positivi dell’accordo in termini securitari (61%), economici (33%) e di formalizzazione di una situazione esistente (6%).
Nelle raccomandazioni, lo studio ha invocato una «contro-battaglia di sensibilizzazione» sui social media in lingua araba, in particolare nei paesi del Golfo e in altri paesi che potrebbero firmare accordi con Israele, insistendo sui benefici della normalizzazione per gli Stati firmatari. Dal canto suo, la ministra degli Affari Sociali ha raccomandato di monitorare le azioni condotte contro Israele sui social media, poiché questi ultimi rappresentano una «piattaforma fondamentale per forgiare l’opinione pubblica». «Vista e considerata l’importanza cruciale dei processi di normalizzazione per il futuro del Medio Oriente, e in seguito agli attacchi verbali contro i nostri recenti partenariati nel Golfo, lavoreremo per promuovere una lunga campagna di sensibilizzazione in lingua araba che presenterà i vantaggi della pace», ha aggiunto. Ciò significa che nel breve periodo vi sarà un incremento delle campagne di istigazione e diffamazione contro le forze della resistenza (in Libano e in Palestina) e una commercializzazione dei presunti benefici della «pace», allo scopo di forgiare un’opinione pubblica araba favorevole a questo processo.
In conclusione, si può affermare che a scioccare gli organi decisionali di Tel Aviv non siano stati tanto i risultati dello studio, né il fatto che esso giunga dopo tutte le campagne condotte a sostegno della normalizzazione. In verità, lo shock deriva anche e soprattutto dal fatto che dopo quasi un secolo di guerre, vessazioni e distruzioni che ha conosciuto la regione, nella coscienza araba continui a prevalere un atteggiamento contrario all’occupazione sionista della Palestina.
Ali Haydar è un giornalista libanese