Usare i soldi per gli attacchi in Siria mentre i rifugiati muoiono di fame

Di Murtaza Hussain. The Intercept (02/12/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

In copertina un’opera dell’artista siriano Mwafaq Katt

L’obiettivo dell’intervento internazionale in Siria ha qualcosa a che fare col fornire aiuto ai siriani? Mentre una coalizione internazionale si è affrettata nel coordinare gli attacchi aerei nel nome dell’umanitarismo, sembra che tali attacchi di benevolenza aerea stiano fallendo nel prevenire una crisi ben più grande che il popolo siriano sta affrontando. Si tratta del fatto che i rifugiati siriani stanno finendo il cibo. Citando The Washington Post: “Una crisi legata ai fondi ha obbligato il World Food Program (WFP) a sospendere la sua assistenza verso 1,7 milioni di rifugiati siriani”.

Il deficit è stato attribuito a “impegni disattesi da parte dei donatori” e sta a significare che milioni di siriani potrebbero trovarsi ad affrontare l’inverno senza il minimo sostentamento alimentare. Ma da cosa è costituita, nella fattispecie, questa catastrofica crisi dei fondi? Si tratta di 64 milioni di dollari in meno. Per contestualizzare questo dato va detto che gli Stati Uniti e i suoi alleati stanno spendendo milioni e forse decine di milioni di dollari ogni giorno per bombardare i combattenti di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) in Siria ed Iraq.

Il costo delle munizioni usate la prima notte del bombardamento sarebbe quasi bastato a coprire gli aiuti alimentari ai siriani. Lo si apprende da stime del Pentagono secondo cui “nella prima notte di attacchi in Siria, gli Stati Uniti hanno usato anche 47 missili Tomahawk del costo di oltre 1 milione di dollari ciascuno, arrivando a cifre più alte per i modelli più avanzati”. Il New Yorker ha di recente fatto riferimento alle incredibili quantità di denaro che si stanno spendendo per i jet che sorvolano la Siria.

Il costo necessario a volare sul Paese per un giorno, bombardandolo – azione che si ritiene abbia già ucciso molti civili siriani – sarebbe stato sufficiente a continuare a fornire aiuto alimentare ai milioni di rifugiati. Parlare di “intervento umanitario” in un contesto simile non è che un eufemismo per l’atto di bombardare. Una forma d’intervento assai più d’impatto, meno moralmente ambigua ed incredibilmente più conveniente sarebbe fornire gli aiuti – di cui si ha un bisogno disperato – a una popolazione civile sfollata che sta affrontando una vera emergenza umanitaria.

Invece, si continuano a spendere ingenti somme di denaro per le munizioni e la logistica militare spacciandolo per “aiuto” verso la popolazione che viene bombardata. Se quest’intervento avesse qualcosa a che fare con l’aiutare i siriani la sua assoluta proprità sarebbe fornire aiuto ai rifugiati, in modo ancor più cruciale fornendo loro asilo. Come un attivista siriano anti-regime (Asaad Kanjo, Idlib) ha detto quest’anno: “Siamo stanchi di persone che dicono di star arrivando ad aiutarci, e poi ci uccidono”.

Murtaza Hussain è un giornalista e commentatore politico il cui lavoro si concentra su diritti umani, politica estera e cultura.

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