Di Faktour Shalhoub. Al-Arabi al-Jadeed (30/04/2017). Traduzione e sintesi di Federica Pretto.
La tensione tra gli alleati americani e turchi negli ultimi giorni si è ben manifestata nelle loro rispettive dichiarazioni, che hanno assunto i toni del risentimento e del rimprovero, specie da parte americana. Le ultime sono quelle del Colonnello dell’aeronautica statunitense, John Dorian, il quale ha espresso la sua disapprovazione, se non indignazione, per le ultime operazioni turche in Siria e in Iraq, affermando che l’alleato “ha avvertito le forze della coalizione di questi attacchi appena un’ora prima del loro inizio”. Il significato sembra chiaro: non c’è l’intenzione di una previa coordinazione con l’alleato americano nella guerra contro Daesh (ISIS). Il tempo insufficiente “per garantire la sicurezza alle nostre forze sul terreno” sarebbe la causa dell’irritazione del Pentagono, secondo Dorian.
Similmente ha parlato giovedì scorso il portavoce del dipartimento di stato americano, Mark Toner. Ha dichiarato che “i raid turchi mettono in pericolo le nostre forze”, accusando Ankara di “non aver rispettato il piano di coordinazione”, e mostrando così il risentimento dell’amministrazione americana per questa “operazione inaccettabile”. Un’indignazione simile era già stata espressa dopo gli attacchi dell’aviazione turca nell’entroterra iracheno.
Dichiarazioni simili non sono una novità, ma stavolta il tono è diverso e più deciso. E lo è tanto da far tornare alla mente le polemiche contro l’esitazione turca ad aderire all’allora costituentesi coalizione contro il sedicente Stato Islamico.
Tuttavia l’impasse persiste ancora. Né l’amministrazione Obama né quella Trump hanno potuto correggere questo rapporto ambivalente. E la ragione è che la questione va oltre la mancanza di un accordo sugli strumenti per una coordinazione sul posto, o l’esposizione delle forze americane ai colpi dell’aviazione turca. Essa ha un’origine più complessa e profonda.
Il fatto è che Washington si ritrova con due alleati nemici giurati fra loro, la Turchia e i Curdi, e ha bisogno di entrambi per affrontare Daesh. Non può abbandonare nessuno dei due, né può conciliare le due parti, anche nel contesto di questa lotta. A dirla tutta, Washington simpatizza con la parte curda, soprattutto siriana, la “forza affidabile” presente in campo, di cui gli americani non potrebbero fare a meno per la riconquista di Raqqa. E forse il tono di protesta degli americani è stato così forte proprio perché i raid turchi “hanno ucciso molti combattenti curdi”, secondo il Pentagono.
Tuttavia, gran parte dei discorsi sugli affari esteri statunitensi non nascondono una certa parzialità per i Curdi nella regione. Alcuni mettono in avanti il dovere di Washington di sostenere le ambizioni nazionali curde, e Ankara questo lo sa. Infatti, molti hanno collegato ciò al rifiuto turco di ritagliare un qualsiasi spazio ai curdi, alleati degli americani, in Siria. Teme infatti che questo possa rafforzare le loro aspirazioni indipendentiste e la loro espansione nell’est curdo della Turchia.
Il dilemma di Washington sta dunque tanto nella sua determinazione a conservare le forze curde come alleate, quanto nella sua incapacità a proteggerle e a coinvolgerle nella battaglia per la liberazione di Raqqa. Accettare la collaborazione dell’una significherebbe rifiutare quella dell’altra, Ankara, col rischio di aggravare la crisi con quest’ultima. Non sembra però che Washington abbia finora trovato un piano per risolvere questo dilemma. “Non abbiamo altra scelta che tenerci questo problema, anche se non renderà le cose facili”, conclude Wolf.
Faktour Shalhoub è uno scrittore e giornalista libanese.
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