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Una sfida storica per i paesi esportatori di petrolio: il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili

Dopo tre secoli di dipendenza dai combustibili fossili, l’emergenza climatica ha innescato la transizione verso energie non petrolifere.

Di Ibrahim Nawwar, Al-Quds, (15/02/2020). Traduzione e sintesi di Maddalena Goi

A causa degli effetti dei cambiamenti climatici in corso, accompagnati dall’aumento di rigide misure economiche a tutela dell’ambiente, i paesi arabi produttori di petrolio e le società operanti nel settore, così come quelle coinvolte in investimenti ad esso collegate, si trovano di fronte una nuova fase storica le cui manifestazioni si stanno diffondendo gradualmente, giorno dopo giorno. Non bisogna sottovalutare ciò a cui assistiamo oggi con la scusa che per sua natura il mercato dei combustibili fossili è volatile poiché, le fluttuazioni dei prezzi, questa volta, non riflettono le tradizionali condizioni di crisi della domanda e dell’offerta ma, piuttosto, i cambiamenti storici del mercato dell’energia globale ossia uno spostamento dell’asse verso le fonti rinnovabili e l’energia nucleare. Possiamo facilmente osservare come l’impatto dei problemi ambientali e quello degli incentivi tecnologici si rifletta in un numero considerevole di indicatori ad esempio la tendenza verso l’ecologico con una maggior sensibilità per l’ambiente così come l’andamento del mercato azionario delle società petrolifere nel mondo. A questo proposito, il fondo norvegese, che è il maggior fondo sovrano al mondo (con un valore di investimenti che supera i trilioni di dollari), ha deciso che non investirà più in società petrolifere. L’entità degli investimenti del Fondo in tali società, sarà d’ora in poi proporzionale agli investimenti che queste compagnie dedicheranno alle energie rinnovabili e alle tecnologie ecologiche.

Il declino delle azioni di petrolio e gas

Lo spostamento degli investimenti dalle azioni delle compagnie petrolifere verso altri comparti, nonché i nuovi regolamenti imposti dalle principali banche centrali del mondo, soprattutto Europa e Stati Uniti, in merito alla limitazione di nuovi finanziamenti, hanno portato all’indebolimento delle quotazioni delle compagnie di Oil&Gas nei mercati azionari globali. Ciò ha ridotto, di fatto, il loro peso all’interno degli indicatori di mercato. Per esempio, secondo l’indice di Standard & Poor’s, il volume azionario, delle 500 principali compagnie petrolifere quotate alla borsa di New York, è sceso al 3,8% rispetto al 16% del 2008. I trend azionari stanno scendendo a livelli mai visti prima. Le azioni di società come Chevron o Exxon-Mobil sono scambiate a valori simili a quando il prezzo del petrolio si aggirava intorno ai 30$ al barile mentre la quotazione attuale è vicina ai 60$ al barile. Ciò significa che il prezzo attuale del petrolio è meno della metà di quello precedente la crisi del 2014.

La svalutazione dei prezzi delle azioni ha avuto un impatto negativo sulle capacità di finanziamento e la creazione di nuovi investimenti. Nonostante le compagnie petrolifere di solito resistano a questo tipo di fluttuazioni finanziando programmi per riacquistare i loro stessi titoli azionari, i prezzi delle loro azioni stanno continuando a calare. A causa di questi cambiamenti nel mercato energetico, anche le piccole aziende operanti nel settore dell’Oil&Gas rischiano l’allarmante possibilità di fallimento. Questo aspetto rappresenta un deterrente anche per le banche che partecipano al finanziamento delle attività di queste società satellite e riduce le probabilità di entrata di nuovi investitori nel settore.

Sono i paesi arabi, soprattutto gli Stati del Golfo, che negli ultimi anni hanno iniziato a percepire pesanti oneri. Come reazione a questi cambiamenti, sono emerse forti richieste di politiche di adeguamento economico, diversificazione delle fonti e diminuzione dalla dipendenza dal petrolio. Tra tutti i paesi arabi, solo il Qatar e l’Emirato di Dubai perseguono, già da anni, una serie di politiche per diversificare la loro economia, non solo per far fronte alle circostanze attuali, ma anche per gettare basi per politiche di lungo termine e integrarsi col mercato globale.

Le eccedenze finanziarie si stanno esaurendo

Uno studio del Fondo Economico Internazionale ha rivelato che le eccedenze finanziarie accumulate dai Paesi del Golfo, stimate a circa 2 trilioni di dollari, potrebbero dissolversi completamente entro 15 anni. Questo studio ha causato panico tra i responsabili delle politiche economiche di questi paesi, poiché, le economie dei Paesi del Golfo, sono ancora molto lontane dall’adottare politiche di crescita sostenibile oltre a creare nuovi posti di lavoro, in particolare per i giovani.

I paesi arabi esportatori di petrolio devono affrontare anche un altro problema. L’impatto delle politiche ambientali sul mercato petrolifero si è esteso anche alle comprovate riserve di petrolio e gas. Il Financial Times ha riferito che gli esperti che valutano le scorte di giacimenti di Oil&Gas nel mondo sono inclini a rivalutare il valore di questi stock, tenendo conto delle politiche di protezione ambientale. Se l’obiettivo è abbassare il riscaldamento globale di 1,5 gradi ciò, in pratica, ridurrà il consumo mondiale di gas e petrolio abbassando il livello generale dei prezzi. Inoltre, circa un terzo delle riserve petrolifere non saranno immesse nel mercato poiché sarà inutile estrarle. Il valore complessivo di questo scenario è stimato intorno ai 900 miliardi di $ a prezzi correnti pari a un terzo del valore delle attività detenute dalle compagnie petrolifere e di gas di tutto il mondo.

Alla luce delle deboli politiche di diversificazione economica finora adottate nei paesi arabi produttori di petrolio, essi si trovano ora con l’esigenza di adottare politiche finanziarie di natura deflazionistica mentre lavorano per colmare il deficit finanziario, riducendo la spesa pubblica e compensando il debito attraverso l’attrazione di capitale straniero e l’introduzione delle imposte. Ma se si dà uno sguardo ai bilanci di quest’anno, si vedrà che il maggiore denominatore comune in paesi come l’Arabia Saudita o il Kuwait, fino ad Algeria e Iraq, è rappresentato dal taglio della spesa pubblica, l’aumento delle imposte, la presentazione di incentivi per gli investitori stranieri e il finanziamento di una parte della spesa pubblica con prestiti interni ed esterni. Ad esempio, l’Arabia Saudita, nonostante i tagli alla spesa pubblica del 2,7% in più rispetto lo scorso anno e altre politiche di austerity, ha registrato, per il terzo anno consecutivo, un deficit di bilancio che quest’anno si prevede che raggiungerà i 187 miliardi di Riyal, circa 50 miliardi di $, pari al 6,4% del PIL. Al contrario, il bilancio di paesi come Emirati Arabi Uniti e Qatar, sta registrando un aumento della spesa pubblica, soprattutto nelle infrastrutture. Quest’anno il bilancio del Qatar ha registrato un aumento della spesa del 2% rispetto l’anno scorso e il 43% della spesa è stato assegnato a importanti progetti pubblici e nelle infrastrutture. È la percentuale di budget più alta della regione e una delle più alte nel mondo.

Ibrahim Nawar, economista e scrittore egiziano

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