Di Ceren Kenar. Middle East Eye (28/05/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo
Nonostante le elezioni parlamentari del 7 giugno in Turchia si inscrivano nel quadro dei conflitti interni e regionali, sembra che le consultazioni riguarderanno in gran parte le scelte politiche del presidente Recep Tayyip Erdoğan e del suo partito Giustizia e Sviluppo (AKP). Dopo tre mandati da primo ministro e in carica come presidente della repubblica, Erdoğan punta alla revisione della Costituzione per instaurare de iure un presidenzialismo de facto già in vigore. Varie questioni tuttavia mettono in luce le difficoltà della sua amministrazione, a partire dal processo di pace con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), complicato dai recenti scontri tra quest’ultimo e il Partito Democratico Curdo dell’Iran (PDKI).
Queste elezioni parlamentari potrebbero essere per Erdoğan il via libera al suo progetto di riforma dell’ordinamento politico in Turchia, ma per questo occorre il voto favorevole dei due terzi dei 550 parlamentari. Un obiettivo difficile, malgrado i suoi tentativi di rafforzare il controllo su settori chiave come magistratura e media, entrambi caratterizzati dalla presenza significativa di sostenitori o simpatizzanti del predicatore islamico fuggito negli USA Fethullah Gülen (suo ex alleato, ora acerrimo avversario).
Un tempo considerato esempio di islam politico pragmatico, moderato e democratico, dal suo insediamento alla presidenza Erdoğan è stato sempre più oggetto di critiche, sulle discriminazioni di genere come sulla corruzione dilagante tra i giudici e i poliziotti, sul blocco di YouTube e delle reti sociali come sulle pressioni sui media e i giornalisti non allineati. Basti citare la chiusura nell’ultimo mese di due canali TV, o la revoca della cittadinanza onoraria di Gaziantep al giornalista statunitense Stephen Kinzer (premiato per i reportage che hanno contribuito a salvare i mosaici romani della città).
Persino i successi nell’accogliere oltre un milione di profughi siriani in Turchia (con atteggiamento ben diverso dall’indifferenza dell’Unione Europea), mostrano segni di cedimento, con la diminuzione della crescita del prodotto interno lordo, la disoccupazione oltre l’11%, l’inflazione e la vulnerabilità finanziaria. Inoltre, le crescenti preoccupazioni per la riapertura del conflitto tra PKK ed esercito turco (acuite dalle recenti accuse reciproche di violazione del cessate il fuoco concordato per tutta la durata dei colloqui di pace), potrebbero convogliare un numero consistente di voti verso il Partito Democratico del Popolo (HDP). Da aprile inoltre il PKK si è scontrato a più riprese con il PDKI (anch’esso accorso a combattere contro Daesh (ISIS)), perlopiù nella regione irachena di Kelashin, vicina al confine con l’Iran. Una situazione sulla quale ultimamente ha lanciato l’allarme il presidente della Regione autonoma del Kurdistan iracheno Massoud Barzani, nel tentativo di unire il fronte contro Daesh. Le elezioni del 7 giugno saranno pertanto un esame importante anche per l’HDP, che mira alla soglia del 10% dei voti, necessaria per ottenere seggi e diventare una forza politica nazionale.
Altro aspetto interessante, dei comizi dell’AKP, è che molti sostenitori hanno sfilato con l’immagine di Adnan Menderes, primo ministro turco eletto nel 1950 e rovesciato nel 1960 dal primo colpo di Stato della Repubblica Turca, ad opera dei militari. Condannato a morte per attentato alla Costituzione, giustiziato, il suo partito (Partito Democratico, di ispirazione liberale) fu sciolto. La sua figura è stata “riabilitata solo nel 1990”, ma un paio di settimane fa l’attuale primo ministro Ahmet Davutoğlu ha lanciato il progetto di trasformare l’isola in cui Menderes fu processato“nell’isola della democrazia e della libertà”, con un museo per commemorare gli “eroi della democrazia”. Anche se le accuse nei suoi confronti furono gonfiate dalla propaganda, diversi analisti sottolineano che durante il suo governo gli episodi di repressione e autoritarismo sono stati frequenti, soprattutto alla fine degli anni ’50. Fatti che rendono rischioso un qualsiasi “uso” della sua personalità politica, a maggior ragione in campagna elettorale.
Ceren Kenar è una giornalista ed editorialista del quotidiano Türkiye.
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