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In Turchia la crisi ha il nome di Erdogan

Erdoğan turchia
Erdoğan turchia

Di Jihad al Khazen. Al Hayat (24/05/2016). Traduzione e sintesi di Laura Formigari.

Quando Recep Tayyip Erdogan è diventato prima leader del Partito per la giustizia e lo sviluppo e, successivamente, primo ministro nel 2003, molti arabi hanno accolto benevolmente la sua venuta, temendo tuttavia che potesse capitargli la stessa sorte del primo ministro islamico, Necmettin Erkaban, costretto alle dimissioni dai militari nel 1997. C’era timore per il destino di Erdogan e del suo partito, mentre ora siamo spaventati da lui. Ciò che abbiamo pensato fosse un esempio di Islam moderato e democratico si è rivelato tutt’altro.

Erdogan ha portato alle dimissioni il primo ministro Ahmet Davutoglu, ha fatto arrestare giornalisti di spicco fino a far chiudere, di fatto, il giornale di opposizione Zaman e ha tolto l’immunità parlamentare a 138 deputati indagati per “sostegno al terrorismo”. La lotta ai curdi non si esaurirà presto, 20 cittadini turchi sono stati uccisi in alcune località confinanti con la Siria e altri ancora rischiano la stessa sorte. I terroristi dell’Isis sono in possesso di lanciarazzi russi Katiuscia e il prossimo passo potrebbero essere le armi chimiche. Alcuni sostengono che i terroristi stiano cercando di persuadere la Turchia ad intervenire in Siria, ma in campo militare si sa: nessun paese dovrebbe affrontare due guerre nelle stesso momento.

Inoltre l’accordo sui migranti tra Turchia e Europa è in pericolo: Erdogan ha chiesto tre miliardi di dollari per frenare le ondate di profughi verso l’Europa, ma minaccia di “riaprire le porte” se Bruxelles si mostra esitante. La Turchia sta accogliendo attualmente 2.7 milioni di rifugiati ma è accusata di nasconderne le reali condizioni; il piano 2016-2017 lanciato dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni internazionali di beneficenza rivela che la Turchia non ha fornito informazioni fondamentali come la registrazione dei paesi di provenienza dei rifugiati.

Infine non è un segreto che Erdogan voglia trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale ed è per questo che, come successore di Dovutoglu, ha scelto il fedelissimo Binali Yıldırım. Tra le ragioni che hanno portato alla rottura tra Erdogan e Dovutoglu c’è sicuramente la questione curda e il tentativo di Dovutoglu di trovare una soluzione pacifica. Ma l’ingerenza delle politiche di Erdogan si estende fino all’Europa. La Germania ha concesso di mettere a processo il comico che ha diffuso una poesia satirica sul presidente turco, causando però la reazione dei media non solo tedeschi: il quotidiano inglese The Spectator ha indetto una gara di poesia satirica su Erdogan, vinta dall’ex sindaco di Londra Boris Johnson.

Ma fermiamoci qui: se in principio Erdogan poteva sembrare un esempio positivo, si è trasformato in un modello politico dal quale è assolutamente necessario prendere le distanze, ben lontano da quello rappresentato da Necmettin Erkaban.

Jihad al Khazen è un editorialista libanese.

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