Intervista di Katia Cerratti
Sul tentato golpe del 15 luglio in Turchia è stato detto e scritto di tutto, dall’ipotesi che sia stato orchestrato dallo stesso Erdoğan per rafforzare il proprio potere, all’attribuzione della responsabilità a Fetullah Gülen, predicatore e leader del movimento Hizmet, in esilio negli Usa, fino alle ultime notizie divulgate dal quotidiano vicino a Erdoğan Yeni Safak, secondo cui la rivolta militare sarebbe stata finanziata dalla Cia attraverso una banca nigeriana e organizzata dal generale americano John F. Campbell.
Da questo groviglio di accuse e sospetti che molti considerano una caccia alle streghe, emergono però anche alcuni dati certi: quella notte sono morte 265 persone, Erdoğan ha dichiarato lo stato d’emergenza per tre mesi, ha arrestato più di 13 mila persone e ha messo in atto una feroce repressione verso magistrati, insegnanti e giornalisti. Per cercare di capire meglio come si è arrivati a tutto questo, abbiamo incontrato il professor Fabio L. Grassi, docente di Storia dell’Eurasia e Lingua Turca all’Università di Roma “La Sapienza”.
Golpe o autogolpe, che idea si è fatto di quanto è accaduto e di quanto sta accadendo?
La tesi dell'”autogolpe”, della messinscena orchestrata da Erdoğan stesso, non ha la minima consistenza e si basa su un’applicazione infantile dell’argomento del “cui prodest”. C’è stato un tentativo di golpe ed è fallito. C’è stato un tentativo di uccidere Erdoğan ed è fallito. Ancora il 23 luglio leggevo “ricostruzioni” degli eventi in cui si sorvolava sulla vera e propria battaglia che c’è stata a Marmaris, dove Erdoğan era in vacanza. Il giornalismo dovrebbe essere prima fatti poi opinioni; bene, con pochissime eccezioni la stampa italiana ha dato un esempio spaventoso di opinioni senza fatti, o peggio con fatti selezionati e manipolati.
Erdoğan ha dichiarato lo stato di emergenza per tre mesi in base all’articolo 120 della Costituzione. In questo modo ha potere assoluto in materia di sicurezza dello Stato. Quanto incide sullo stato di diritto questa misura adottata dal presidente?
E’ evidente che lo stato di emergenza, proprio perché di emergenza, incide negativamente sulle regole ordinarie dello stato di diritto. Il governo turco ha promesso alla comunità internazionale di non andare oltre il necessario. Inutile dire che il concetto di necessario non è oggettivo. Lecito temere abusi. Staremo a vedere.
Cosa c’è dietro la sospensione della Convenzione sui Diritti Umani?
La stessa logica: una situazione di pericolo estremo per lo Stato che giustifica e rende necessarie misure eccezionali. Diciamo le cose come stanno: la gran parte degli italiani e dei popoli occidentali stava (e sta) dalla parte dei golpisti, sperava che Erdoğan fosse ucciso, non ha avuto la minima simpatia e la minima compassione per i civili uccisi dai golpisti e ora non vuole che il governo turco agisca perché il governo turco è un governo “cattivo”. Questo è un approccio emozionale, che confonde il piano valoriale con il piano tecnico-giuridico. Visto che ci siamo, scommetterei i proverbiali cento euro che, come sempre in Turchia, ad essersi fatti uccidere dai golpisti siano stati soprattutto dei sinceri democratici, non certo dei fanatici islamisti, non certo gli eroi del giorno dopo inneggianti alla pena di morte; in ogni caso, quasi nessuno qui in Occidente ha mostrato di voler sapere dove, come e perché sono morte quelle persone, chi erano, con quale spirito hanno affrontato i carri armati. Qualunque dato non corrispondente a stereotipati quadri ideologici è stato azzerato. Si sono sprecati giorni e giorni a dire idiozie e non si è fatto nulla che assomigliasse a serio giornalismo.
Una epurazione dietro l’altra, giornalisti, magistrati, insegnanti, emittenti televisive, tutti accusati di avere legami con Gülen. Chi è realmente Fethullah Gülen e quanto è credibile l’ipotesi che possa aver orchestrato il golpe?
Parto dalla fine. Sul piano giudiziario l’onere della prova spetta all’accusa e, se le prove saranno solo le confessioni dei generali golpisti, l’impressione della tesi precostituita resterà diffusa nell’opinione pubblica internazionale; sul piano logico – che è un piano diverso -, ritenere il golpe riconducibile a Gülen o al suo ambiente è più che lecito. Si resta ancora su un piano razionale con l’ipotesi alternativa che il progetto di colpo di Stato sia stato concepito in ambienti kemalisti, ma è un’ipotesi poco convincente. Meno ancora lo è quella di un’alleanza kemal-gülenista. Con tutte le altre siamo alla fantapolitica.
Gülen è una complessa figura di “guru” e uomo d’affari che si allaccia a un’importante filone del pensiero islamico turco del Novecento. Persegue una reislamizzazione della società turca (e possibilmente del mondo), ma sottolinea molto che l’islam questo successo deve anche meritarselo, colmando il divario culturale con l’Occidente. Per questo motivo nella sua strategia l’aspetto educativo è basilare. Odiato e temuto dai kemalisti, per anni Gülen ha appoggiato, ben ricambiato, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, anche se i suoi massimi dirigenti, che nel primo decennio sono stati Erdoğan e Gül, venivano da un altro filone dell’islam turco. Per inciso, di Gül non si parla mai, il che è un altro dei tanti esempi di deplorevole pigrizia della stampa italiana e – con qualche eccezione – degli osservatori italiani.
Andiamo alle epurazioni. Anche qui, se si confonde il piano valoriale con quello giuridico non si capisce niente. Per la legge turca, il movimento Hizmet [Servizio] di Fethullah Gülen è un’organizzazione eversiva e terroristica. Farne parte è ipso facto reato. Almeno noi italiani dovremmo capirlo, visto che esiste il reato di associazione mafiosa, che prescinde dall’aver commesso o non aver commesso qualsivoglia specifico reato “attivo”. Su un piano valoriale, ripeto, uno può benissimo pensare che invece Hizmet sia la più meritoria organizzazione del mondo e che dovrebbe prendere il potere in Turchia e ovunque. Ma sul piano giuridico non conta. Conta invece che in base alla legge turca lo Stato turco aveva il diritto e il dovere di epurare tutti i gülenisti e chiudere tutte le loro istituzioni, tuttı i loro organi di informazione etc. anche prima del golpe. Come ha risposto Erdoğan a questa giusta obiezione? Ovviamente, ha risposto da politico: senza un “fattaccio”, senza una “pistola fumante”, si sarebbe gridato alla persecuzione (ma si illudeva, perché si grida alla persecuzione lo stesso). Ora, può essere considerato membro dell’Hizmet chi regolarmente versa ad esso parte del suo stipendio. Qualunque provvedimento che vada oltre questo steccato dovrebbe essere considerato persecutorio e irragionevole. Purtroppo iniziano ad arrivare notizie di giovani arrestati solo per avere insultato Erdoğan, ci sono voci di maltrattamenti e perfino di torture sui militari arrestati e cose del genere. Ricongiungendo piano giuridico e piano politico (ma tenendo ancora fuori quello valoriale), ciò che nelle prossime settimane dovremo misurare è se e in quale misura la repressione si estenderà anche a persone che in questi anni hanno continuato ad avere rapporti di amicizia e collaborazione con i gülenisti (l’arbitrio sarebbe massimo); e soprattutto dovremo misurare se e in quale misura la repressione si estenderà ad aree politiche, ideologiche e culturali avverse al governo ma lontanissime dall’Hizmet.
Erdoğan ha promesso di andare avanti con la repressione e ha prefigurato anche l’approvazione della pena di morte se il Parlamento dovesse reintrodurla. Dove vuole arrivare?
Vuole arrivare al consolidamento di fatto e di diritto del suo potere, ovvio. Poiché non ha avversari ma nemici, poiché se perde il potere non va all’opposizione ma al cimitero o in prigione o in esilio, è alto il rischio che la spirale perversa di questi ultimi anni prosegua e anzi si acceleri.
Non rischia di rimanere isolato sul piano internazionale? O forse è proprio questo che vuole, dal momento che ha dichiarato che i paesi stranieri non devono dire ad Ankara cosa deve fare?
Erdoğan suona di volta in volta quei tasti del pianoforte turco che in quel momento gli fanno gioco: grande leader moderato che democratizza la Turchia, tenta la normalizzazione dei rapporti con l’Armenia, tenta la soluzione politica della questione curda? Benissimo. Leader nazionalista che protegge il suo popolo da potenze cattive la cui preoccupazione principale è danneggiare, possibilmente distruggere, la Turchia? Meglio ancora. Intendiamoci, non credo che lui goda ad aver perso il sostegno degli USA e dell’UE, ma ha saputo ricucire con Israele e Russia, e in certa misura anche con Iran e Siria. Qualche mese fa si poteva legittimamente pensare a un Erdoğan che stava portando sé stesso e il proprio paese al disastro con un’avventata politica estera; ma l’uomo ha dimostrato di avere ancora buone riserve di lucidità, ammettendo la sconfitta e fermandosi a pochi centimetri dal baratro. Certo, non potrà mai dormire sonni tranquilli.
Il rapporto di Erdoğan con internet appare alquanto incoerente: ne blocca l’accesso in determinati momenti ma per chiamare il popolo a scendere in piazza lo ha usato senza alcuna remora. Come lo spiega?
Lo spiego col fatto che quella notte internet gli serviva. Ma devo aggiungere che in anni che ormai ci appaiono lontanissimi non era stato affatto lui ma la magistratura kemalista a vietare, per esempio, l’accesso a youtube, perché conteneva files offensivi nei confronti di Atatürk.
L’Alta Corte di Istanbul, in queste ore avrebbe annullato il reato di pedofilia. Può chiarirci cosa è accaduto?
E’ una vicenda intricata, direi molto italiana, di ricorsi di un tribunale provinciale, rimpalli tra questo e quell’organo della magistratura etc. su un comma della legge vigente. Una cosa è oggettivamente certa: è una questione di svariati mesi fa, niente affatto di queste ore; l’altra cosa che mi sento di dire è che una “sintesi” del tipo “abolito il reato di pedofilia in Turchia” è una di quelle deliranti deformazioni della realtà di cui non Erdoğan ma la Turchia tutta è sistematicamente oggetto.
Quali scenari si apriranno in futuro?
L’unica cosa che appare sicura è la sistematica distruzione del movimento di Gülen. Io me lo ricordo bene come Erdoğan nei suoi primi anni di governo distrusse la holding del giovane Cem Uzan, che prendeva ad esempio Berlusconi e gli contendeva voti sulla base di un qualunquismo laico. Figuriamoci adesso. Poi, a spanne, ci sono due possibilità. La prima è una radicalizzazione in senso islamista e illiberale della leadership del presidente e una fuoruscita anche formale dal quadro dei riferimenti valoriali e delle liturgie della repubblica kemalista (che è un guscio vuoto ma ancora quasi intatto). La seconda è un patto di pacificazione con la Turchia laica, che si baserebbe proprio sulla limpida e intransigente condotta tenuta dal partito kemalista durante il golpe. Uno stabile rasserenamento dei rapporti tra le varie anime della Turchia però non è facile. I problemi della Turchia sono molto gravi perché non sono problemi politici ma antropologici. Nessuno ha la soluzione in tasca (e non abbiamo neanche toccato la gigantesca questione curda!). Ma scordiamoci di poterli risolvere con le nostre logiche.
Fabio L. Grassi insegna Storia dell’Eurasia e Lingua Turca all’Università di Roma “La Sapienza”. Si occupa di Turchia da 33 anni e ha vissuto stabilmente in Turchia per 13. Ha al suo attivo decine di pubblicazioni, tra cui le monografie L’Italia e la Questione Turca (1919-1923). Opinione Pubblica e Politica Estera, Torino, Zamorani, 1996 (tradotta in turco), Atatürk. Il Fondatore della Turchia Moderna, Roma, Salerno, 2008 (idem), Una Nuova Patria. L’Esodo dei Circassi verso l’Impero Ottomano, Istanbul, ISIS, 2014
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