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Turchia: forze armate in subbuglio

Di Serkan Demirtaş. Hürriyet Daily News (11/02/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Nel pieno della campagna del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan contro il suo ex alleato, ora principale nemico, Fethullah Gülen, il capo dell’intelligence Hakan Fidan si dimette per dedicarsi alla carriera politica. Un gesto inappropriato secondo Erdoğan, ma supportato e auspicato dal primo ministro Ahmet Davutoğlu, cui aveva chiesto di impedirlo, sia pure nel rispetto delle sue scelte. Due metodi politici emergono in Turchia, in una fase delicata anche per la ripresa del processo di pace con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), condotto proprio da agenti dei servizi di intelligence (Mit).

Davutoğlu è più orientato alla gestione politica del potere, rafforzando il fronte interno contro l’opposizione, in vista delle elezioni parlamentari del 7 giugno. Il primo ministro mira dunque a costruire una solida alleanza e per farlo ha bisogno di uomini di fiducia in parlamento. Come Fidan, che da anni condivide con l’esecutivo sia la battaglia contro la “struttura parallela” che il “processo di soluzione” (così le autorità turche chiamano il processo di pace con il Pkk). Terzo anello, su cui Davutoğlu sa di poter contare, è il vice primo ministro Yalçın Akdoğan, uomo il cui ascendente prescinde dall’avvicendarsi dei governi. A spiegare la necessità di un simile asse di ferro è anche il voto (rinviato da Davutoğlu alla prossima settimana) sulle controverse leggi sulla sicurezza, che potrebbero influire sui colloqui di pace.

Erdoğan invece propende per un approccio pragmaticamente orientato alla gestione degli equilibri sul territorio. Di qui la sua opposizione alle dimissioni di Fidan, uomo chiave per lui in due questioni cruciali. Prima, il processo di pace con il Pkk, la cui ripresa è stata annunciata dal Partito Democratico del Popolo (Hdp, all’opposizione) addirittura entro due settimane. In secondo luogo la campagna contro il Deep State, la “struttura parallela”, ovvero principalmente contro Gülen, che dal suo rifugio statunitense conta tra i suoi seguaci magistrati, giornalisti, predicatori islamici e soprattutto agenti delle forze di sicurezza. Su di lui pende un mandato di cattura per organizzazione di stampo criminale, che ultimamente gli è costato il ritiro del passaporto.

Erdoğan intende riprendere le redini dei settori chiave di Gülen. All’inizio di febbraio 21 poliziotti turchi sono stati arrestati nell’ambito di un’inchiesta sulle intercettazioni illegali ai danni di politici (compresi Erdoğan e Davutoğlu), funzionari e uomini d’affari. A fine gennaio, con la stessa imputazione, erano finiti in manette 24 tra operatori di telefonia e ricercatori. Uno scenario simile alle retate dell’anno scorso, preludio al processo iniziato il 2 gennaio. Eppure un tempo Erdoğan e Gülen erano alleati, anche all’epoca dell’uccisione del giornalista turco armeno Hrant Dink, il 17 gennaio 2007. Entrambi avevano accusato di questo l’organizzazione clandestina ultranazionalista Ergenekon (in cui militano diversi ufficiali della gendarmeria), opponendo ad essa la “Nuova Turchia”. Poco dopo la rottura, al punto che nel mirino dell’Akp sono finiti i gülenisti (tra cui molti agenti di polizia), ora ritenuti il pilastro del Deep State, chiamato da Davutoğlu “gang parallela” nonché i mandanti dell’assassinio di Dink. È pertanto probabile che questo sia stato uno dei principali motivi della reazione di Erdoğan alle dimissioni di Fidan.

Serkan Demirtaş è un opinionista di Hürriyet Daily News.

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