Di Kadri Gursel. Al-Monitor (23/12/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Giorni prima della notizia sulla normalizzazione delle relazioni tra Turchia e Israele, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva dato a intendere di voler presto sistemare la crisi della Mavi Marmara tra i due Paesi.
Lo scorso 13 dicembre, durante un’intervista, Erdogan ha rotto con la sua solita ostile retorica contro Israele, dicendo che “il riavvicinamento turco-israeliano è cruciale per la regione” e che la normalizzazione delle relazioni andrebbe “a beneficio dell’intera regione”. Ha poi ripetuto le tre condizioni per la riconciliazione: primo, delle scuse da parte di Tel Aviv per l’uccisione di 10 turchi nel raid israeliano alla Mavi Marmara del 31 maggio 2011; secondo, il risarcimento delle famiglie delle vittime; e terzo, la rimozione del blocco navale sulla Striscia di Gaza.
Quattro giorni dopo, il quotidiano israeliano Haaretz ha riportato che “Israele e Turchia hanno raggiunto un’intesa sulla bozza di un accordo di riconciliazione che potrebbe mettere fine alla lunga crisi tra i due Paesi e normalizzare le relazioni”. Il quotidiano ha citato i punti salienti dell’accordo di riferimento: primo, Israele pagherà 20 milioni di dollari per risarcire le famiglie delle vittime della Mavi Marmara; secondo, le due parti “normalizzeranno” i rapporti e nomineranno degli ambasciatori; terzo, il parlamento turco passerà una legge che annulli qualsiasi denuncia contro membri dell’esercito israeliano relative al raid sulla Mavi Marmara; quarto, la Turchia dovrà limitare l’attività di Hamas nel suo territorio ed espellere Saleh al-Aruri, uno dei principali membri del braccio armato del movimento palestinese; infine, dopo la firma dell’accordo finale, i due Paesi discuteranno di importazioni di gas naturale da Israele e di un gasdotto che, attraverso la Turchia, colleghi Israele all’Europa.
Mettendo a confronto i due modelli di accordo, quello delineato da Erdogan e quello riportato da Haaretz, è possibile notare che i punti di coincidenza sono in realtà elementi già concordati negli anni passati, come il risarcimento delle famiglie delle vittime e la normalizzazione delle relazioni. Tuttavia, i due modelli presentano anche delle evidenti differenze, che fanno pensare che un accordo non sia pochi così vicino. Tra queste, la più importante riguarda il blocco navale su Gaza: in questo modo, Erdogan continua a legare la questione della Mavi Marmara con la questione dei problemi di sicurezza che Israele ha con Hamas, una questione che richiederà molti anni per trovare una soluzione. Dunque, la precondizione turca non è realistica e serve solo a mantenere in uno stato di crisi le relazioni politiche tra i due Paesi.
Tuttavia, la recente crisi con la Russia, che fornisce più del 50% delle importazioni di gas naturale delle Turchia, ha ricordato ad Ankara l’importanza di diversificare le fonti energetiche, cosa che a sua volta ha ricordato l’importanza di riparare i rapporti con Israele. La domanda sorge spontanea: la normalizzazione delle relazioni bilaterali è una precondizione per le esportazioni di gas israeliano attraverso la Turchia?
La risposta dipende dal senso che si vuole dare alla “normalizzazione”: se la si intende come una relazione basata sulla fiducia reciproca, con legami politici ed economici istituzionalizzati, con una cooperazione contro il terrorismo e l’estremismo, con una cooperazione a livello militare – allora bisognerà aspettare la nascita di un nuovo mondo. Israele e Turchia non hanno veramente bisogno di normalizzare i rapporti: gli basterà far vedere di avere intenzione di risolvere la crisi, senza risolverla davvero.
Per Erdogan, la rimozione del blocco navale su Gaza sembra essere una precondizione di cui ha bisogno per le sue ambizioni domestiche: la transizione verso un sistema presidenziale. Fino ad allora, non vorrà mai apparire come il leader che ha venduto Gaza in cambio del gas israeliano, messo all’angolo dalla crisi con la Russia.
Kadri Gursel è un giornalista turco.
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