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Turchia: a un anno dal fallito colpo di Stato

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La vittoria di Erdogan sul golpe ha sancito l'inizio di una nuova era per il popolo turco, ma la reazione del Presidente ha irrimediabilmente scosso gli equilibri su cui si fonda l'intera regione

L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (17/07/2017). Traduzione e sintesi di Antonia M. Cascone.

Nel discorso per il primo anniversario del fallito colpo di Stato, Recep Tayyip Erdogan ha citato gli avversari della Repubblica turca, con a capo i sostenitori dell’associazione Hizmet, guidata dal predicatore stabilitosi in America Fethullah Gülen, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che sta conducendo una guerra di bande all’interno del Paese, e l’organizzazione “Stato Islamico” (ISIS), che ha perso terreno dopo la caduta di Mosul. Ha inoltre messo in guardia da coloro che ha definito “quelli che cercano di assediare i nostri confini”, espressione che si presuma possa riferirsi all’Unione Europea (così come potrebbe significare anche altro).

Oltre i molteplici significati, il fallito golpe ha di fatto sancito il termine della fase di potere dell’esercito sulla politica, causa di molti rivolgimenti nella storia moderna della Turchia: il risultato ha un enorme significato storico per il popolo turco e per la regione circostante, anche perché, se la Turchia fosse caduta nella morsa dei militari, sarebbe andata a completare il quadro poco incoraggiante di un’area già costellata di controrivoluzioni, e questo spiega il favore con il quale molti media arabi (specialmente a Damasco, al Cairo e ad Abu Dhabi) hanno inizialmente accolto il golpe. Il fallimento del colpo di Stato ha dato anche un’altra lezione importante: il popolo turco, compresi i partiti politici e buona parte dell’esercito e dei media, ha rifiutato con notevole forza l’imposizione di una fazione autoritaria che si poneva al di sopra delle istituzioni e della sua stessa volontà, sotto qualsiasi slogan essa si ponesse.

Il contesto storico, le circostanze interne ed esterne, l’appoggio dichiarato di alcuni Paesi arabi e quello sotteso di molti governi occidentali per il golpe, spiegherebbero le sue ripercussioni sul piano politico, militare e sociale, a partire da un’ondata di “pulizia” che ha colpito intere sezioni dell’esercito, dello Stato e dei media, allungando la lista degli oppositori e cambiando le carte sullo scacchiere internazionale, con l’avvicinamento della Turchia alla Russia e lo stato di tensione crescente con l’Europa. Se, da un lato, nonostante tali notevoli ripercussioni, Erdogan è riuscito a vincere con successo un referendum per gli emendamenti costituzionali che avrebbero rafforzato il suo potere e la sua autorità su esercito, apparato di sicurezza, mezzi di comunicazione e partito, dall’altro la spinta verso una nuova polarizzazione sulla scena turca ha contribuito alle enormi operazioni di “pulizia” che hanno colpito circa 169.000 impiegati, un terzo dell’esercito e un numero spropositato di responsabili della sicurezza, giornalisti e giudici. La pressione occidentale sulla Turchia per il rispetto dei diritti umani, la democrazia e la libertà di espressione si è, dunque, intensificata.

Non si discute sulla necessità di operazioni post-golpe, mirate a preservare la democrazia turca e a prevenire tentativi di nuove congiure, ma questo non impedisce di affermare che questa reazione enorme, che ha avuto come obiettivo un numero così grande di turchi, ha innescato meccanismi controversi per la preservazione della democrazia (gli stessi meccanismi con i quali il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo è arrivato al potere), dando inoltre linfa sia alle pressioni occidentali che alle proteste interne al Paese.

La Turchia, d’altronde, è in una posizione delicata a causa della sua posizione geopolitica strategica, essendo il più grande ponte tra mondo islamico e mondo occidentale, nonché punto di incontro tra la sempre più influente Russia e l’Europa, a ovest, e i Paesi islamici dell’ex URSS a est. Questo, e la sua vicinanza a Iran, Iraq e Siria, fa sì che la preservazione  della stabilità e della prosperità del Paese sia nell’interesse della regione, del mondo arabo e dell’intero pianeta. Dopo la vittoria sul colpo di Stato, la tendenza dovrebbe essere quella di ridurre la lista degli avversari interni e propendere per la riconciliazione a favore degli interessi della patria: il rafforzamento delle basi della democrazia resta ancora lo strumento più importante di cui Erdogan, e la Turchia in generale, si possa avvalere.

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