Di Frida Dahmani. Jeune Afrique (23/10/2015). Traduzione e sintesi di Alice Bondì.
I venerdì finiscono per assomigliarsi a Sfax (centro est della Tunisia). Il 23 ottobre, la preghiera del venerdì, come la settimana scorsa, è stata impedita da alcuni praticanti che hanno protestato in maniera violenta contro il licenziamento di Ridha Jaouadi, ex imam della moschea di Sidi Lakhmi.
Il 16 ottobre, la virulenza dei manifestanti è stata tale che il nuovo imam, che da due settimane era stato incaricato di celebrare la preghiera, ha dovuto abbandonare il luogo e la preghiera è stata annullata.
Questo 23 ottobre, le forze dell’ordine hanno dovuto evacuare la moschea. Mai vista una cosa del genere in Tunisia. “Niente è più considerato sacro, sembrava di essere allo stadio – dice un fedele, indignato – È scandaloso usare le moschee per scopi politici o ideologici. Che nessuno venga a parlarci di libertà di culto: tutti quelli che rifiutavano l’attuale predicatore, brandivano quattro dita della mano destra in segno di sostegno ai Fratelli Musulmani”.
All’origine del movimento di protesta vi è il sindacato degli imam, dipendente dall’Organizzazione tunisina del lavoro (OTT), di tendenza pro-islamista. Il sindacato contesta il licenziamento di una ventina di imam – circa 18.000 nel paese – i cui sermoni sono stati giudicati estremisti dal ministro degli Affari Religiosi, Othman Battikh.
Estromesso dalla moschea di Sidi Lakhmi, l’imam Ridha Jaouadi, i cui propositi violenti sono stati ripetuti più volte, è stato il primo a schierarsi contro queste decisioni. In nome della libertà di culto, ha condotto una campagna contro il ministro e comparendo in tutti i media, ha finito con il personificare la sua lotta. Ma non è il solo: Habib Ellouze, un reazionario del partito islamista Ennahda che ha fatto di Sfax la sua roccaforte, ha espresso il suo sostegno in diverse occasioni.
L’imam Ridha Jaouadi (42 anni) è il presidente dell’associazione El-Khataba Wal Ouloum Al-Sharia, i cui finanziamenti sono poco chiari. Si oppone regolarmente allo Stato e lo denigra nei suoi sermoni. Nel 2012 e nel 2013, questo imam dai discorsi estremisti aveva invitato i predicatori salafiti inneggianti al jihad, a islamizzare l’istruzione e alla circoncisione femminile.
Nel luglio 2015, 80 deputati avevano chiesto il suo licenziamento, ma l’imam aveva accettato di moderare le sue parole e di rispettare le regole sui luoghi di culto. Promesse non mantenute, che gli sono valse l’estromissione. Ed egli ha approfittato di questa situazione per presentare se stesso come un martire.
Originario della medina di Tunisi, il ministro degli Affari Religiosi, lo Sheikh Othman Battikh (74 anni) ha esercitato come giudice presso il Tribunale di primo grado di Tunisi, prima di insegnare fiqh (diritto) all’Università Zitouna. Ex Mufti della Repubblica – a partire dal 2001, lo specialista in teologia, che ha seguito gli insegnamenti di Mohamed Fadhel Ben Achour, ha annunciato la ripresa del controllo delle moschee sin dal suo ingresso al ministero nel febbraio 2015.
Gli imam tunisini sono designati dal ministero degli Affari Religiosi, che può porre fine alla loro missione in qualsiasi momento, senza dover giustificare questa decisione. Dal cambiamento di regime nel 2011, diversi imam, spesso auto-nominati, hanno invaso le moschee con l’appoggio di alcune correnti salafite. Focolai di incitamento al jihad e alla violenza, circa 800 moschee sono sfuggite al controllo dello Stato sotto il governo della troika tra il 2012 e il 2013.
L’attuale governo ha messo fine alle derive chiudendo i luoghi di culto problematici e rimuovendo gli imam con posizioni radicali. Cioè, non ha fatto che applicare le leggi sui luoghi di preghiera e sullo svolgimento del culto, che inoltre stabiliscono che ogni disordine provocato nelle moschee è punibile con sei mesi di reclusione e con una multa di 230€.
Frida Dahmani è una giornalista tunisina.
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