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In Tunisia, i media attaccano la società civile

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I media tunisini dovrebbero sostenere il lavoro delle ONG in seno alla società, non ostacolarlo

Di Anouar Jamaoui. Al-Araby al-Jadeed (06/05/2017). Traduzione e sintesi di Gemma Baccini.

A sei anni dalla rivoluzione, vi è un aumento delle campagne di diffamazione delle organizzazioni non governative da parte dei media tunisini, come emerso da una registrazione sfuggita al comitato di redazione del canale televisivo privato Nessma. Nella registrazione, Nabil Karaoui, uno dei proprietari del canale, incita i suoi collaboratori a unire le forze per diffamare l’organizzazione I Watch, e vanificare i suoi sforzi per smascherare la corruzione, diffondendo pettegolezzi sui suoi membri e accusandoli di opportunismo, tradimento e spionaggio.

Questo discorso scioccante è un chiaro incitamento a violare la privacy dei suoi attivisti, esponendoli alla demonizzazione da parte dell’opinione pubblica, ed è pericoloso perché sostiene la politica del chiudere la bocca agli attivisti che lottano contro la corruzione e la forza del denaro e dei media per ingannare l’opinione pubblica. Ciò perché I Watch esercita seriamente il suo ruolo di osservatrice civile e si sforza di fare critica investigativa affinché ci sia più trasparenza, giustizia e integrità nella società. Essa aveva infatti pubblicato delle inchieste importanti che hanno messo in luce sospetti di corruzione verso alcuni politici e organizzazioni dei settori pubblico e privato. Nel luglio scorso, ad esempio, ha pubblicato un’inchiesta su Nessma riguardante “l’evasione fiscale” e il mancato pagamento delle somme che deve allo Stato, cioè dell’appropriazione di fondi pubblici.

L’approccio cospiratore di Nessma contro I Watch ha suscitato l’indignazione delle forze vive della società tunisina, dal sindacato dei giornalisti, ai politici e gli attivisti sui social network.

I Watch però non è stata la sola. I media tunisini avevano prima colpito la Commissione Verità e Giustizia mettendo in dubbio la sua credibilità e il patriottismo dei suoi membri, poi l’Unione Generale Tunisina del Lavoro (UGTT) per aver portato alla vittoria i manifestanti e aver difeso il diritto delle regioni interne allo sviluppo.

È certo che i media tunisini non sono ancora professionali, ma ancora ossessionati dello Stato dittatoriale e governati dal potere dei baroni del denaro. Questi non hanno ancora compreso che nel Paese è avvenuta una rivoluzione, e che le ONG non sono interessate a prendere il potere o parteggiare per alcuni piuttosto che per altri, ma alla democratizzazione dello Stato attraverso l’osservazione degli apparati statali e degli attori sociali. Il loro lavoro è trasmettere le voci dei cittadini ai governanti e rafforzare la partecipazione alla vita pubblica.

I media dovrebbero appoggiare questo atteggiamento, non ostacolarlo. E dunque necessario riformare il settore codificando e regolando le sue fonti di finanziamento, e rafforzare le capacità di rispettare l’etica del loro lavoro e punire coloro che la violano, altrimenti questo settore rimarrà ostaggio del potere, uno strumento per ingannare l’opinione pubblica e un ponte per il ritorno all’ancien régime.

Anouar Jamaoui è un ricercatore tunisino.

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