Di Mabrouka M’Barek. Middle East Eye (18/04/2016). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Cinque anni dopo le rivolte arabe, la Tunisia è visto come l’ultimo paese della regione dove l’ondata rivoluzionaria del 2011 ha garantito la stabilità politica. Lo scorso anno il Quartetto premiato con il Nobel della Pace ha celebrato la “democrazia pluralista” del paese. Tuttavia, un mazzo di gelsomini non è l’immagine adatta per rappresentare il sentimento popolare tunisino.
Certo, il periodo post-rivoluzionario è stato caratterizzato dalla depressione economica e da diversi atti di terrorismo, il quale, se non sradicato, potrebbe mettere a rischio quanto raggiunto finora e minare il futuro della nazione.
Quindi, di cosa ha bisogno la Tunisia? Per prima cosa, una strategia, quella strategia che manca al governo per combattere Daesh (ISIS) in maniera efficiente. Creare un dialogo nazionale per combattere il terrorismo è onorevole, ma non basta a capire che prima di tracciare qualsiasi strategia, il fenomeno va capito.
È chiaro che il solo indottrinamento religioso non basta a spiegare perché ragazzi e ragazze si uniscano alle fila Daesh. Ed è proprio l’azione di reclutamento del sedicente Stato Islamico la ragione per cui la risposta securitaria non è sufficiente. Qui la Tunisia post-rivoluzionaria ha fallito: non ha “reclutato” i suoi cittadini per investire per il benessere comune. Noi, come nazione, dobbiamo combattere Daesh al gioco del reclutamento e quindi focalizzare l’attenzione sul recupero della dignità del popolo.
La dignità – che era il vero obiettivo della rivoluzione – non ha a che fare con la creazione di nuovi posti di lavoro. Piuttosto, la dignità sta nel diminuire il debito privato, nel garantire l’accesso all’acqua, all’elettricità, alla casa e all’assistenza medica, ma sopratutto, sta nel rispetto della Costituzione e delle libertà e i diritti da essa sanciti.
I giovani tunisini, frustrati, vogliono dignità. Non hanno rischiato la vita nella rivoluzione per distribuire ghirlande di gelsomini ai turisti di Sidi Bou Said. Dare a una rivoluzione il nome di un fiore non significa niente: come facciamo a sapere quando i suoi obiettivi verranno raggiunti?
Lo scopo della rivolta tunisina è chiaro: dignità. Quindi basta con le proiezioni e le narrative romantiche che spogliano la rivoluzione del suo vero obiettivo. Basta fare riferimento ai gelsomini e iniziamo a chiamarla come sancito dalla nostra Costituzione: la Rivoluzione Tunisina della Dignità.
Mabrouka M’Barek ha fatto parte dell’Assemblea Costituente tunisina dal 2011 al 2014.
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