I sostenitori della linea dura contro Washington escono grandi vincitori dalle elezioni legislative, ma l’affluenza alle urne resta storicamente bassa.
di Soulayma Mardam Bey, L’Orient-Le Jour, (24/02/2020). Traduzione e sintesi di Katia Cerratti
Vittoria schiacciante dei conservatori in Iran alle elezioni legislative di venerdì scorso, in un contesto generale segnato dalla più debole affluenza alle urne dalla proclamazione della Repubblica islamica nel 1979. Ha votato infatti solo il 42,57% degli elettori, malgrado il governo al potere abbia ritardato di tre volte la chiusura dello scrutinio.
A questa forte astensione hanno contribuito vari fattori, primo fra tutti l’annullamento massiccio, da parte del Consiglio delle Guardie rivoluzionarie, delle candidature di quasi metà dei 16.000 candidati, la maggior parte dei quali moderati e riformatori: “Il Consiglio delle Guardie rivoluzionarie, come nel 2004, ha massicciamente escluso i candidati riformisti, in particolare a causa delle forti tensioni americano-iraniane”, ha dichiarato a L’Orient-Le Jour Sina Azodi, consigliere per gli Affari Esteri alla Gulf State Analytics.
I conservatori hanno guadagnato oltre 220 dei 290 seggi in Parlamento, mentre i riformatori avranno meno di 20 deputati. I 35 indipendenti eletti, potrebbero schierarsi con i conservatori. Nella capitale Teheran, i conservatori hanno conquistato tutti i 30 seggi vinti dai riformatori quattro anni fa. Una svolta a 180 gradi che può essere spiegata da una significativa astensione tra le classi medie deluse dalla politica del presidente Hassan Rohani.
La Guida suprema della Repubblica islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei, ieri ha accusato la stampa straniera di aver lanciato una massiccia campagna di propaganda per scoraggiare gli iraniani ad andare a votare prendendo come pretesto la diffusione del coronavirus in Iran. Ad oggi, sono stati rilevati 42 casi di contagio e 8 decessi. “La propaganda è iniziata alcuni mesi fa e si è intensificata con l’avvicinarsi delle elezioni e (soprattutto) negli ultimi due giorni (prima delle elezioni) usando il pretesto di una malattia e un virus”, ha specificato la Guida suprema sul suo sito ufficiale.
Negli ultimi anni, le delusioni dell’opinione pubblica si sono moltiplicate sulla scia della crisi economica, in gran parte derivante dalle sanzioni statunitensi, e per questo, secondo molti osservatori, c’era da aspettarsi un’astensione cosi forte. “Sebbene le elezioni in Iran non siano libere, le persone possono ancora mostrare la loro soddisfazione e il loro malcontento attraverso il boicottaggio o la partecipazione al voto”, ha aggiunto Azodi.
Le elezioni legislative del febbraio 2016, avevano visto il ritorno in Parlamento dei riformatori alleati con i moderati, sulla scia della firma dell’accordo nucleare nel luglio 2015. Quest’ultimo aveva restituito speranza a gran parte della popolazione in cerca di un futuro migliore e impaziente di porre fine all’isolamento del paese sulla scena internazionale. Questo progresso politico aveva fatto parte delle promesse elettorali del presidente “moderato” Hassan Rohani, eletto nel 2013.
Gli ultimi risultati elettorali chiudono questa parentesi per sempre. L’Iran è alle prese con una profonda crisi economica, che è peggiorata dopo la progressiva applicazione delle nuove sanzioni americane a partire da novembre 2018. A novembre 2019, l’esasperazione per il deterioramento delle condizioni di vita, ha portato a un’ondata di manifestazioni represse in modo particolarmente violento. Secondo i dati di Amnesty International, a metà dicembre, il bilancio delle vittime è stato di almeno 304 ma secondo un’indagine Reuters, i morti sarebbero 1.500. Malgrado non vi sia ancora chiarezza sull’entità del massacro, si è trattato comunque della repressione più sanguinosa dall’arrivo al potere della Repubblica islamica.
Alla crisi economica e alla rivolta si sono aggiunte le crescenti tensioni tra Teheran e Washington in seguito alla morte dell’ex comandante in capo della brigata di al-Quds, unità d’élite tra le Guardie rivoluzionarie in Iran, Kassem Soleimani, ucciso in un raid americano in Iraq all’inizio di gennaio. “L’impatto di questi risultati sarà negativo, nel senso che, con il dominio dei sostenitori della linea dura che si oppongono all’impegno con l’Occidente (in particolare con gli Stati Uniti), le relazioni dell’Iran resteranno, nella migliore delle ipotesi, nell’attuale impasse o potrebbero deteriorarsi ulteriormente “, ha affermato Azodi. “C’è da aspettarsi inoltre, che alle elezioni presidenziali iraniane del 2021, un sostenitore della linea dura succederà a Rohani, non ricandidabile per un terzo mandato”, ha aggiunto.
Se l’alto tasso di astensione conferma la sfiducia di gran parte della popolazione nei confronti del governo, il Parlamento iraniano resta, nel contesto attuale, un’istituzione relativamente debole, tanto più che la politica del paese è oggi dettata dal confronto con gli Stati Uniti, vale a dire da sfide geostrategiche, la cui gestione ritorna alla Guida suprema e alla sua cerchia ristretta. Questa proiezione totale nel braccio di ferro con Washington, relega le questioni interne in secondo piano, il che potrebbe persino servire da giustificazione per stringere il cappio attorno alla popolazione.
“Penso che la politica interna dell’Iran si evolverà maggiormente verso i conservatori (e meno verso la libertà politica), man mano che l’apparato di sicurezza diventerà più potente. Con gli alleati di Rohani al di fuori del Parlamento, assisteremo a un fronte omogeneo di sostenitori della linea dura e di conservatori. Ad esempio, la città di Teheran ha eletto Ali Qalibaf, un ex comandante delle Guardie rivoluzionarie che in passato si è candidato alla presidenza senza successo”, ha continuato Azodi.
Le elezioni di venerdì scorso, hanno rappresentato soltanto la prima delle scadenze, ma hanno impostato il tono delle prossime, a partire dalle elezioni presidenziali del 2021. Nel frattempo, le elezioni previste negli Stati Uniti nel novembre 2020, in cui Donald Trump potrebbe essere rieletto, potrebbero confermare o mettere in discussione l’attuale tendenza.
Infine, potrebbero diventare sempre più pressanti, le domande sulla successione della Guida suprema della Repubblica islamica, mentre quest’anno l’uomo forte del Paese compirà 81 anni.