Di Abdallah Janouf. Al-Araby al-Jadeed (13/12/2016). Traduzione e sintesi di Maria Antonietta Porto.
Dall’occupazione americana in Iraq, il settarismo ha preso sempre più piede nel mondo arabo, specialmente in quei Paesi dove i regimi non hanno avuto la meglio e l’opposizione non ha vinto. Lo stato d’indipendenza, privo di un ampio progetto nazionale, ha oscurato le identità minoritarie, sopprimendole. Con la caduta del regime, tali identità sono emerse, spinte dall’intolleranza religiosa e dai settari regimi stranieri.
La retorica del settarismo è sbocciata grazie alla politica, alle associazioni culturali, ai media, mettendo radici persino nella cultura quotidiana ed è caratterizzata da alcuni tratti salienti:
Il “centralismo” settario. Limita ciò che può essere tollerato, esalta i sentimenti di carità assoluta e disprezza la trasgressione. La setta è giustizia, conoscenza, bene e tutto ciò che ne è al di fuori è ingiustizia, perversione, corruzione, violenza.
La memoria selettiva. La tendenza a citare determinate fasi storiche e a oscurarne altre, come se non fossero mai avvenute, affinché solo alcune persone ed eventi vengano ricordati. Cancella l’armonia, la convivenza pacifica, la condivisione. Non parla che dei conflitti, degli scontri, delle divergenze nella vita dei musulmani. Cita solo le notizie che nutrono le ostilità, riempendo i cuori di rancore. Offre un’immagine di sé di vittima oppressa.
L’attestazione di onorabilità. Ogni singolo membro partecipa all’elogio della setta e dei suoi successi, evitando le critiche. I capi e i leader del gruppo divulgano l’elogio, reiterandolo esageratamente. Gli adepti diventano così i più nobili degli uomini, i più giusti, i più puri. Anche se hanno incitato il tiranno alla tirannia; anche se hanno contribuito alle ingiustizie compiute contro il loro popolo e si sono lavati con il sangue dei loro figli; anche se hanno ucciso innocenti, occupato le loro case e tagliato le mani di chi offriva protezione. Il loro denaro è diventato il più puro, anche se prospera all’estero e tramite il commercio di stupefacenti.
La distorsione – e l’esagerazione – di ciò che accade e delle notizie. Ogni ribelle è un martire, ogni combriccola è un esercito. Ciò porta a uno schieramento, a una dicotomia non obiettiva che cancella la storia, non riconosce l’evoluzione delle società, delle credenze e che non gioca a favore di nessuno: il bene da un lato, il male dall’altro. Tale dicotomia è presente in ogni epoca, senza differenza alcuna tra le parti contrapposte. Non riguarda solo i musulmani, è un conflitto perenne, una malattia mentale difficile da curare.
La persuasione degli adepti all’obbedienza assoluta, in cambio di una vittoria prossima o del Paradiso promesso. È l’ultimo tratto saliente, il più invisibile. Gli adepti si sacrificano, abbandonando i propri padri, i propri figli. Si polverizzano davanti ai loro leader, capi e imam e giurano obbedienza per un premio posticipato, che non potrà essere guadagnato se non dopo la morte. Illusi dai lasciapassare per il paradiso e dalla promessa di lapidi in luoghi sacri. L’obbedienza cieca e la tradizione impedisce loro di pensare e ignorano che il biglietto per il paradiso altro non è che una bara e che tutto termina con la morte.
Il mondo arabo assiste, ormai quotidianamente, a violenza e morte. Ciò rievoca il settarismo degli antenati, sfocia nello spargimento di sangue di innocenti e prepara alla pratica di omicidi e riti sanguinosi. La cosa più terribile è che il musulmano va contro il musulmano e l’arabo si nutre di sangue arabo.
Come possiamo ripristinare la nostra umanità e donare stabilità alle società? Scoraggiando lo straniero che basa il proprio progetto espansionistico sul settarismo, mettendoci l’uno contro l’altro, portandoci all’auto distruzione. Attraverso il rinnovamento religioso, libero da credenze obsolete, e attraverso l’esercizio della cittadinanza civile, dei diritti e dei doveri, della politica. Attraverso la conoscenza reciproca e la riscoperta di noi stessi. L’impegno civile attivo è alla base della legge, dei valori e dell’appartenenza a una società. Società come punto di riferimento, che riconosce e rispetta tutte le minoranze e i tipi di diversità.
Abdallah Janouf è un docente presso l’Università di Tunisi specializzato in studi islamici.
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