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“Sul corno del rinoceronte” di Francesca Bellino

francesca bellino

corno rinoceronte bellinoCi sono libri che catturano le nostre emozioni al punto da non voler smettere mai di leggerli, ci immergiamo avidamente in essi, pagina dopo pagina, con la voglia di andare avanti nella lettura ma anche con il desiderio contrastante che il libro non finisca mai.

È quello che mi è successo con “Sul corno del rinoceronte”, romanzo della scrittrice e giornalista Francesca Bellino (edizioni L’Asino d’oro), un intreccio di elementi soggettivi ed oggettivi con i quali l’autrice ha costruito un tessuto umano, sociale ed anche politico davvero coinvolgente.

Il romanzo narra la storia dell’amicizia fra due donne: Mary, giovane italiana di professione antropologa, curiosa e affascinata dal mondo, dalle culture diverse e distanti dalla propria, alla costante ricerca di sé nell’altro, nel diverso da sé. E Meriem, tunisina emigrata in Italia per amore di un uomo, per realizzare un sogno che l’ha portata alla rottura con la sua famiglia di origine, con le tradizioni e il conservatorismo della sua terra.

L’incontro fra le due donne è del tutto casuale, ma dall’alea di un viaggio in treno verso l’aeroporto nasce un rapporto che cresce nel tempo e si trasforma in una amicizia vera e profonda che porterà entrambe le protagoniste a vivere intensi momenti in grado di cambiare il corso delle loro esistenze.

Il tema dell’incontro è di certo centrale nel romanzo e non solo da un punto di vista soggettivo. Le due donne diventano esse stesse metafora dell’incontro fra due culture diverse, seppur geograficamente vicine, come sono quella italiana e quella tunisina. I due paesi sono uniti dalla comune matrice mediterranea più di quanto uno sguardo superficiale possa mostrare.

A questo proposito è significativo il passaggio in cui Mary scopre che anche in Tunisia esiste una dimensione moderna e aperta che vede le donne protagoniste di diritti legati al lavoro ed all’autodeterminazione, come il divorzio e l’aborto. Per Mary è una piacevole scoperta, perché nel suo immaginario di donna occidentale fino a quel momento predominava l’idea di una donna sottomessa al marito ed alla famiglia, costretta ad indossare il velo e priva dei diritti che in Occidente sono ormai scontati. Naturalmente le differenze culturali esistono, sono quelle più legate alle tradizioni della società rurale tunisina, ma anche la lingua viene vissuta come un confine, soprattutto in una terra dove la colonizzazione ha lasciato un idioma diverso, che separa ciò che i tunisini sono da ciò che vorrebbero essere, sbiadendo il sentimento identitario che invece la lingua certifica e suggella.

Ma il romanzo, la cui narrazione si svolge su due piani temporali distinti, ci porta al cospetto di un altro tipo di incontro, quello fra la dimensione privata della storia narrata e la dimensione pubblica che la Tunisia vive nei giorni della rivoluzione dei gelsomini. Infatti parte del romanzo, quella narrata sul piano temporale del presente, è ambientata proprio nei giorni immediatamente successivi alla caduta di Ben Ali: l’autrice ci porta sulle strade tunisine affollate di militari e di manifestanti, e lascia che Mary trovi le risposte ai suoi numerosi interrogativi riguardanti la rivoluzione in corso negli occhi della gente che incontra in strada, occhi dove trova coraggio e rabbia, determinazione e consapevolezza.

E il viaggio che Mary fa in Tunisia per portare il suo ultimo saluto all’amica scomparsa è anche lo spunto per descrivere i luoghi, il territorio in cui Meriem è nata e vissuta e l’autrice lo fa con una dovizia di particolari in grado di trasportare il lettore nei bianchi vicoli di Kairouan, o nelle colorate viuzze del suq di Tunisi o sulle polverose strade che attraversano il paese.

Nel romanzo, dedicato a tutte le donne che sono partite, gli uomini interpretano un ruolo solo apparentemente secondario: spesso incarnano figure negative, come il patrigno padrone o il dittatore (entrambi definiti “rinoceronte”, da cui il titolo del romanzo), ma non mancano uomini gentili, amici, amori, amanti che però, alla fine, sfuggono e abbandonano.

Un romanzo, quindi, nel quale si ravvisano molteplici elementi narrativi che inducono il lettore ad anelare al finale, il quale rappresenta, anch’esso, una metafora: quella della speranza nel futuro.

“Sul corno del rinoceronte” è stato recentemente lo spunto per un interessante dibattito tenutosi a Roma presso la Fondazione Basso sul tema del dialogo (“La forza del dialogo: Italia e Tunisia, paesi allo specchio”) e nel corso del quale inevitabilmente le riflessioni si sono concentrate sulla situazione politica dei paesi arabi, sull’esito delle rivolte che nel 2011 animarono la cosiddetta “primavera araba”, sui rapporti tra Islam ed Occidente, ma anche sulla situazione delle donne tunisine e arabe in generale.