Di Zouhir Louassini. Osservatore Romano (16/07/2016).
È «difficile affrontare il terrorismo di matrice islamista se l’occidente non riesce ancora a distinguere un imam da un prete» scriveva nel 2001 l’editorialista Jihad al-Khazen subito dopo l’11 settembre criticando la visione occidentale del radicalismo islamico. E molti intellettuali arabi insistono che per lottare efficacemente contro questo cancro che ci sta divorando bisogna partire da una conoscenza più profonda di una realtà descritta spesso sulla base di immagini stereotipate.
Bichara Khader, docente emerito all’università cattolica di Lovanio in Belgio, insiste sulla mancanza di strumenti per capire l’islam. In un’intervista televisiva afferma che «gli europei non hanno le chiavi per decifrare la complessità del mondo arabo islamico». I fatti continuano a mostrare che l’emozione, comprensibile dopo ogni attentato, ci impedisce di affrontare il fenomeno con più razionalità. Il terrorismo non sarà fermato con titoli a sette colonne che insultano e offendono tutta una religione. Una tale reazione, al di là della sua inutilità, può essere controproducente.
L’attentato di Nizza conferma che mentre in occidente ci perdiamo spesso in dibattiti poco proficui, l’ideologia jihadista continua a guadagnare adepti e a cambiare metodi per colpire più duramente. La Francia sembra il bersaglio preferito di chi ha capito che il tempo gioca a suo favore e cerca, istigando all’odio contro la religione islamica, di distruggere ogni possibilità di dialogo e di convivenza.
Basta leggere la «letteratura jihadista» per capire meglio questa strategia. Nella Gestione della barbarie, vero e proprio Mein Kampf dei jihadisti, si legge: «L’unico vero ostacolo sulla via dell’istituzione del dominio di Allah sul mondo intero è costituito da quei musulmani che si concedono delle debolezze e che invece dovrebbero condurre il jihad con il massimo della forza e della violenza». Nel libro si spiega bene come bisogna agire per polarizzare le differenze tra jihadisti e islamici moderati, radicalizzando alcuni di questi e, soprattutto, per alimentare il ciclo delle violenze e delle ritorsioni con un conseguente incremento del caos: più chiaro di così impossibile.
I musulmani moderati, finora la maggioranza, sono la bestia nera dei jihadisti. Può non essere casuale che la prima vittima della Promenade des Anglais sia stata una musulmana con il velo. Per i fanatici tutti quelli che non la pensano come loro sono semplicemente degli infedeli che non meritano di vivere.
In un altro passaggio del manifesto jihadista si legge: «Lo schiacciante potere militare di una superpotenza può diventare una maledizione se la sua coesione sociale collassa». La Francia in questo senso diventa il luogo ideale per realizzare quest’obiettivo. L’islam francese, tanto forte numericamente quanto debole a livello rappresentativo, e l’incapacità dello Stato di affrontare efficacemente le problematiche dell’integrazione delle nuove generazioni offrono terreno fertile per l’ideologia jihadista.
Nella logica della propaganda dei fanatici, colpire una qualsiasi città occidentale risulta così incisivo, perché genera un livello di odio maggiore. Distruggere ogni possibilità di convivenza civile tra culture e religioni è il fine ultimo del jihadismo. Che lo afferma chiaramente. Basta leggere.
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Ottimo articolo. Resto sempre un po’ perplessa, tuttavia, quando leggo “Islam moderato”, che lascerebbe intendere che l’Islam per definizione non lo è, se occorre specificarlo. E’ una questione che andrebbe chiarita meglio e meglio maneggiata per evitare malintesi. Effettivamente tutti e tre Libri, se letti alla lettera, non sono affatto moderati.
Grazie.