Articolo di Federica Cocozziello Visconti
Può accadere, una mattina, di svegliarsi col mal di testa.
L’unica cosa da fare, nel mio caso, è costringermi ad una abbondante colazione, affidare ogni speranza di sollievo ad un forte analgesico e contare i secondi che mi separano da quell’eternità in cui il dolore mi ha inchiodata.
Di solito, è così.
Oggi invece, nel breve tragitto dalla cucina al salone, gli occhi in lotta contro tutto il peso del mondo hanno visto rosso e la mia cefalea è esplosa in mille rivoli nervosi che hanno contaminato ogni ventricolo ed invaso la corteccia cerebrale.
Quel rosso acceso, è il colore scelto per la copertina di “Sottomissione”.
L’ho comprato subito, appena uscito, perché è tragicamente attuale e perché Houellebecq è tra i più importanti scrittori francesi contemporanei.
L’istinto, in quell’attimo di accecamento, è stato di lanciarlo il più lontano possibile dal mio sguardo infiammato, ma poi, nell’afferrarlo, la promessa di una lettura avvincente mi ha guidata fino alla morbida carta da zucchero che è il mio divano, regalandomi la più bella emicrania della mia vita.
Innanzitutto: Parigi, dove vive il protagonista Francois.
Professore alla Sorbona, conduce un’esistenza placida, in cui l’apice della felicità è mettersi a letto alle quattro del pomeriggio con una pila di libri ed una stecca di sigarette. Ad allentare questa solitudine, la relazione con una giovane studentessa ebrea, Myriam, e qualche saltuaria frequentazione con i colleghi dell’università.
Le strade sono quelle note del V e VI Arrondissement, sul lato sinistro della Senna e, per chi vi abbia mai passeggiato, è piacevole riconoscerne i nomi e ricordarne le architetture signorili, rivivere la vivacità del mercato arrampicato su Rue Mouffettard oppure riportare alla memoria la vista meravigliosa che si gode dalla terrazza dell’Istituto del Mondo Arabo.
Anche il contesto sociale e politico fa esplicito riferimento a personaggi esistenti: Francois Holland, Marine Le Pen, Manuel Valls, Nicolas Sarkozy, così da rendere naturale calarci in una Francia conosciuta ed attuale, la cui analisi rigorosa traccia confini ben fissati nella contemporaneità.
Tuttavia, lentamente e con sapienza, Houellebecq introduce in questa zona di comfort elementi appena dissonanti che suggeriscono un tempo diverso, situato in un futuro prossimo, misurato e descritto in modo da rendere possibile che un partito islamico moderato acquisisca autorevolezza e potere, fino vincere le elezioni, proprio in un Paese la cui laicità è stata valore fondante, modificandone abitudini e costumi. Il professore ateo, esperto di Huysmans (la cui opera è così ben descritta che nessun appassionato di letteratura potrà fare a meno di approfondirla) è il ponte che collega le due sponde, con riflessioni ironiche (si ride un po’, si sorride spesso) e ancor più filosofiche (su tutti, Nietzsche); egli stesso espressione di questa mutazione che sembrerebbe compiersi alla fine del libro: “il passato è sempre bello, e in effetti anche il futuro, a far male è solo il presente, che portiamo con noi come un ascesso di sofferenza che ci accompagna tra due infiniti di quieta felicità”.
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