Il vortice di proteste innescato dal film “L’innocenza dei musulmani” non promette nulla di buono per gli Stati Uniti e per i loro progetti democratici in Medio Oriente. Inoltre, le manifestazioni degli ultimi giorni hanno dimostrato che il sostegno degli USA ai paesi arabi non è una garanzia contro l’islamismo. Il caos che si è venuto a creare non fa che alimentare un dilemma che intacca in maniera particolare la campagna elettorale per le presidenziali, ovvero se tagliare o no i ponti col mondo arabo.
Alcuni analisti hanno detto che la prospettiva di “abbandonare” il Medio Oriente è dovuta soprattutto alla crisi in Siria, dove il coinvolgimento di al-Qaeda e di Israele rappresentano un rischio ben maggiore per gli USA rispetto alla Libia o all’Egitto. Inoltre, un’ulteriore problema della situazione siriana è il profondo legame del paese con l’Iran, tanto radicato da far dubitare che possa essere debellato da un eventuale attacco aereo israelo-statunitense contro il suo programma nucleare.
Il distacco degli USA dal Medio Oriente influenzerebbe, poi, anche il limitato supporto fornito dalla superpotenza ai ribelli che combattono contro il regime di al-Assad. Alcuni funzionari del governo americano hanno dichiarato che, sebbene il governo resti contrario ad un intervento militare in Siria, gli eventi della scorsa settimana non hanno distolto lo sguardo dall’opposizione anti-Bashar.
Ad ogni modo, le proteste contro le sedi diplomatiche americane continuano nei paesi musulmani: la scorsa domenica in Pakistan almeno 18 persone sono rimaste ferite. Lo stesso giorno, il governo americano ha però permesso il rientro dell’intero corpo diplomatico presso la sede del Cairo.
Articolo di Ashraf Abu Gilala
Traduzione di Roberta Papaleo