In queste nazioni consumate da governi criminosi, imperversano guerre regionali combattute da attori interni e esterni che si contendono interessi ed impediscono processi di pace e stabilizzazione
Di Ziad Majed, al-Quds al-Arabi, (09/02/2020). Traduzione e sintesi di Alessandro Tonni
Non è una casualità che Siria, Iraq e Libia siano oggi i teatri di guerra più accesi, con una autorità statale disintegrata, con una popolazione dispersa e con una sovranità nazionale sopraffatta, con ripetute occupazioni militari straniere. Infatti, se escludiamo il caso dello Yemen, che in simil modo è in grave difficoltà per motivi connessi alla sua composizione interna e alla sua esposizione geografica diretta a contese regionali e a penetrazioni da parte degli Stati vicini, osserviamo che nazioni come la Siria, l’Iraq e la Libia convivono tutte e tre con guerre di altri governi che non appartengono in nessun modo alla loro bandiera. Non è facile capire quanto siano frantumati in questi tre paesi gli elementi statali e sociali portanti. Risulta altresì difficile rendersi conto fino a che punto la Siria, l’Iraq e la Libia siano stati trasformati in zone di guerra dilaniate da Stati invasori e milizie mercenarie. Nell’area del Mashreq, lo scenario è a due livelli: etnico e settario. I rispettivi partiti del Baath in Siria e in Iraq edificarono a suo tempo due poteri assoluti, nei quali aveva voce in capitolo la componente familiare e settaria, quella etnica e quella della mafia criminale. Quei poteri poggiavano su un feroce apparato governativo di intelligence, su un brutale uso della forza e dell’oppressione, su linee politiche estere che issavano la bandiera dell’unità araba contro l’imperialismo e sostenevano la liberazione della Palestina, laddove sul piano interno soffocavano, restringevano o frenavano ogni mobilitazione. Da una parte, il governo di Baghdad, spendeva ingenti somme in una politica dispendiosa per comprare amici e alleati, per poi avventurarsi in una serie di guerre rovinose che hanno finito per isolarlo, dall’altra, quello di Damasco, dal canto suo, sciupava notevoli cifre per finanziare una politica estera del tutto simile, con l’invasione del Libano, con il tentativo di ottenere influenza sulla questione palestinese, con lo svolgimento di un ruolo di mediazione tra arabi, occidentali e l’Iran di Khomeyni, con il suo schieramento al fianco dell’Arabia Saudita contro gli iracheni, da ultimo. Per parecchio tempo, sembrava che la rivalità tra Iraq e Siria a guida baathista e le iniziative sul fronte estero avessero rafforzato la sovranità statale dei due rispettivi paesi e avessero edificato l’immagine di due paesi interessati ad entrare in conflitti a loro estranei, con il proposito di erigere una zona di influenza regionale e di riparare ai malumori di un fronte interno vacillante.
Dunque, per tornare ai giorni nostri, la rivolta irachena, condotta da un gran numero di persone contro una serie di fattori circostanziali di cui si è detto, accompagnati e seguiti da episodi di corruzione, settarismo, gravi soprusi, era stata alimentata dalla speranza di un cambiamento di situazioni e di condotta sul piano delle priorità di interesse del paese. Ciò nonostante, le contese tra iraniani e americani sul suolo iracheno e i contesti regionali, hanno ridotto la speranza degli iracheni e hanno aperto la strada ad una stagione di violenze che potrebbero aumentare nei prossimi tempi. Parallelamente al caso dell’Iraq, la Siria è finita per diventare un campo aperto a conflitti e invasioni straniere, dopo che al-Asad padre aveva nutrito per lungo tempo il proposito di far svolgere a Damasco il ruolo di paese mediatore tra gli arabi, gli occidentali e l’Iran di Khomeyni, con la vantaggiosa occasione che le azioni punitive del suo regime rimanevano sconosciute all’occhio di altri paesi. L’unico residuo rimasto dell’identità statale siriana è quello dei “centri detentivi”, ovvero le carceri. Questo è avvenuto a causa dell’occupazione militare sulle aree siriane da parte di Russia, Iran, Turchia, Stati Uniti e Israele. Allo stesso modo, anche lo Stato Islamico si è esteso ed insediato su questi territori, e in maniera analoga è iniziata a manifestarsi la rivendicazione di un indipendentismo curdo. Poi, si sono aggiunte anche le milizie straniere irachene e libanesi e i gruppi mercenari afghani, pakistani, uiguri e caucasici che hanno insediato la Siria come una arena di scontro tra jihadisti sciiti e sunniti. È difficile prevedere in Siria la fine dei conflitti nel breve periodo o un recupero dell’unità territoriale e un ritorno dei rifugiati sfollati o emigrati. Per quanto riguarda il caso della Libia, la situazione è simile a quella dell’Iraq, se si considera la frammentazione dell’autorità politica e la sovranità nazionale compromessa. L’esempio della Libia appare somigliante anche al teatro siriano, vista la presenza di milizie mercenarie straniere, l’occupazione aerea e terrestre da parte di forze di diversa nazionalità e lo smembramento della sua superficie di territorio nazionale. Dopo una breve ascesa dei gruppi jihadisti affiliati ad al-Qaida e poi allo Stato Islamico, oggi il paese è diventato terreno di guerra in cui contendenti esterni hanno infiltrato milizie mercenarie che appoggiano le fazioni in lotta. Rientra in questa logica il supporto ad Haftar da parte di emiratini, sudanesi e ciadiani. Sempre in tal senso, Mosca ha affidato ai mercenari della Wagner Group russa il compito di introdursi nelle zone libiche. La Turchia ha risposto impiegando milizie mercenarie siriane nei teatri degli scontri, in aiuto al governo di al-Sarraj. Tutto questo, accade sotto uno spazio aereo in cui si confrontano rispettivamente decine di droni dei turchi e degli emiratini. Nei combattimenti, i raid aerei degli emiratini utilizzano per lo più basi egiziane dalle quali bombardano i loro nemici nella Libia occidentale. Perciò, come si vede, Siria, Iraq e Libia condividono alla stessa maniera un comune destino disastroso, con i loro governi e le loro società frantumate, con le loro passate intromissioni nelle questioni delle nazioni vicine nel tentativo di giocare la parte del più forte per soggiogarle. Alla fine, questi tre paesi, una volta caduti o indeboliti i loro sistemi statali, sono diventati preda di ogni tipo di manovre di intrusioni esterne e propositi di dominazione straniera.
Ziad Majed è un politologo e ricercatore libanese, è professore di Studi sul Medio Oriente.Vive in Francia. È specializzato in questioni dell’area palestinese, libanese e siriana. I suoi argomenti più trattati sono: riforme, processi di transizione democratica, ambiti della società civile, Islam politico e sistemi elettorali nei paesi arabi. Molti suoi lavori sono stati pubblicati dall’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza elettorale (International IDEA).
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