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SH-‘-R, l’organo della poesia

del poeta siriano Nizar Qabbani (1923 - 1998)
del poeta siriano Nizar Qabbani (1923 - 1998)
del poeta siriano Nizar Qabbani (1923 – 1998)

Come un tempo si credeva che il cuore fosse la sede della memoria (e così ancora oggi diciamo ‘ri-cordare’, cioè ‘riportare all’attenzione del cuore’), allo stesso modo ha luogo nella radice araba sh-‘-r la sede della coscienza e della conoscenza. L’organo che la custodisce è la poesia, shi’r in arabo, parola che significa anche percezione, qualcosa attraverso cui si coglie la realtà, e che al contempo rende in grado di immaginarla. Un vero e proprio senso cognitivo che si arricchisce del poter esprimere tale sentimento (ash’ara, verbo significativo in tale direzione, vuol dire comunicare, far sapere). Il poeta, al-shā’ir, è colui che sente, il verbo sha’ara che avvia la radice è sia sentire, provare, capire, che poetare, comporre versi. “Dio ha davvero deciso di fare di me un grande poeta. Altrimenti non continuerebbe a togliermi tutto in questo modo!”, scriveva Marina Cvetaeva. Per Alda Merini il segno – shi’ār in arabo, stessa radice – lasciato dal sangue dei poeti sulla Terra “sono sempre tracce di martirio e solitudine”. Il sangue, sostanza bollente, scala nel poeta ogni gradazione di calore, fino al magma evocato da Henry Miller nel suo Il colosso di Marussi, in cui si chiedeva: “Per quale miracolo il magma rovente della terra si trasforma in ciò che chiamiamo discorso? Il panico, la confusione che afferra l’anima del viandante è il riverbero del pandemonio creato dai persi e dannati”.

E sullo stesso magma del discorso riflette Michail Ajzenberg, in Poeti russi oggi, a cura di Annelisa Alleva: “La lingua non è padrona del poeta, il poeta non è lo schiavo, né il servo della lingua, neppure suo amico. Il poeta semmai è nemico della lingua esistente. Io penso che nella guerra eterna fra lingua e coscienza i versi siano schierati dalla parte della coscienza. ‘Noi non parliamo con le parole, ma con le ombre delle parole’, dice Nabokov. Il discorso in questo caso esiste come in un altro stato di aggregazione: di massa fusa, plasma, campo magnetico. Le parole sono rese così appassionate dal loro felice incontro da non potersi assolutamente raffreddare. A noi, che entriamo in una nuova Storia con un’altra geografia, servono parole nuove per le cose più semplici. Perché le cose più semplici non vengono mai nominate”.

La poesia e la Storia sono un nodo che Adonis – proprio lui che insieme al poeta libanese Yūsuf al-Khāl visse la nascita della rivista Shi’r, ‘poesia’ – ha cercato di sciogliere ne La musica della balena azzurra: “8. Un testo poetico arabo, veramente moderno, inserito nel contesto della cultura araba, nella sua origine e nella sua Storia, permette al lettore di capire già a un primo sguardo che tutto è frammentato: le cose del passato e del presente, la memoria e la Storia, il pensiero e le azioni. E’ come se le cose ricevessero una scossa non solo a livello della coscienza, ma anche a livello dell’inconscio e dell’immaginazione. Mentre legge, il lettore sente un richiamo: ‘Penetra la tua Storia, muoviti, osserva e tocca, tocca l’Occidente e l’Oriente, le illusioni e le fantasie, le strade e i percorsi. Comprendi la tua Storia. Smuovila. Escine gridando: -Non seguirò che il mio istinto-. E ripeti: -Bisogna strappare i veli della Storia, distruggere le mura che accerchiano l’assoluto-. Fallo, se vuoi veramente comprendere il tuo presente, partecipare alla costruzione del futuro e scrivere una poesia moderna o trasmettere un pensiero moderno”.

I poeti, al-shu’urāu, sembrano per la lingua araba coloro che sentono, e sentendo comprendono, e l’esprimerlo è più una condizione in cui versano che una scelta a cuor leggero. Così Boris Pasternak si rivolge a lei, a shi’r, e in tutta sincerità si trova a dirle: “Poesia, giurerò su di te, e finirò con un raglio: Tu non sei il bel portamento d’un fine dicitore, Tu sei un’estate in terza classe, Tu sei periferia e non canto”.

Claudia Avolio