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Sesto anniversario della rivoluzione siriana, e non sarà l’ultimo

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La rivoluzione aveva come scopo, e lo ha ancora, delle condizioni di vita più libere e dignitose, condizioni che i siriani bramano oggi più che mai

Di Sharif Nashashibi. TRT World (15/03/2017). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Dopo sei anni, il conflitto in Siria appare completamente diverso dalla rivoluzione iniziale. Tramite una dura repressione, la rivolta civile di massa contro una dittatura decennale si è trasformata in un conflitto armato tra vari fazioni di siriani appoggiati da combattenti e potenze straniere. Per poi assumere le sue fattezze attuali: un’arena di battaglia per le potenze mondiali. Oggi più che mai, i siriani sono semplici pedine che si muovo tra alleanze e rivalità regionali e internazionali. Ormai si può parlare più un conflitto in Siria che un conflitto siriano.

E non solo sul campo, ma anche al tavolo dei negoziati: a volte, i siriani sono stati esclusi dalle trattative; altre sono stati selezionati dalle potenze regionali e internazionali come manichini; altre ancora, si sono rifiutati di prendere parte ai colloqui, come il caso della prossima conferenza di Astana, che l’opposizione siriana ha boicottato a causa delle continue violazioni da parte del regime Assad e della Russia all’attuale “tregua”.

Le “tregue” non sono mai state veri cessate-il-fuoco e le trattative non hanno mai fatto passi avanti: entrambi sono caratteristiche del conflitto. Del resto, non si è mai voluto risolvere il conflitto tramite un accordo diplomatico. Questi due strumenti sono solo serviti da facciata per coloro che, mentre professano la pace, continuano ad alimentare la guerra; coloro che mentre dicono di sostenere l’integrità della Siria, se ne suddividono i territori.

Tuttavia, se la diplomazia non va da nessuna parte, non si è neanche vicini a una soluzione militare. Di certo il regime Assad si è portato a casa diversi successi da quando la Russia è entrata in guerra, rinforzando allo stesso tempo tutti i suoi alleati, dall’Iran a Hezbollah alle milizie sciite di Iraq e Afghanistan. Ma si tratta di vittorie per il regime e non del regime, il cui esercito si è più volte dimostrato incapace di tenersi un territorio senza l’aiuto degli alleati. Quindi il regime non esisterebbe senza di loro e dire che Assad è sull’orlo della vittoria è davvero velleitario.

Questo anniversario della rivoluzione non sarà l’ultimo. Probabilmente vedremo un intensificarsi delle confronto militare, che finora si è così alternato: regime contro ribelli, ribelli contro ribelli, varie forze contro Daesh (ISIS). Oggi, sembra si stia entrando in una nuova fase militare incentrata sui curdi, le cui forze controllano gran parte del nord del Paese.

“Una sola morte è un tragedia; un milione di morti è una statistica”, diceva il leader sovietico Stalin. Il bilancio delle vittime in Siria è a metà strada e continua a salire. Mentre il commissario per i diritti umani all’ONU parla del “peggiore disastro umano del mondo dalla Seconda Guerra Mondiale”, è facile pensare che la rivoluzione siriana sia ormai morta da tempo. Ma non è questo il caso. La rivoluzione aveva come scopo, e lo ha ancora, delle condizioni di vita più libere e dignitose, condizioni che i siriani bramano oggi più che mai. Non si tratta solo di una pulsione umana, ma di un diritto fondamentale. E finché questo diritto verrà negato, si continuerà a reclamarlo.

Sharif Nashashibi è un giornalista e commentatore sul mondo arabo.

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