Di Kadri Gursel. Al-Monitor (09/09/2015). Traduzione e sintesi di Viviana Schiavo.
Dopo due anni e mezzo di non ostilità, il 6 settembre viene ricordato come il giorno più sanguinario sofferto dalle forze del governo turco da quando la guerra contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) è scoppiata il 24 luglio. L’attacco del PKK è avvenuto nell’area rurale di Daglica nel distretto di Yuksekova, provincia di Hakkari, dove i confini turchi con l’Iraq e l’Iran si incontrano. Delle bombe sono esplose mentre passavano due veicoli militari blindati, uccidendo 16 soldati e ferendone degli altri. Lo stesso giorno, un razzo ha colpito una macchina della polizia in Diyarbakir, la città più grande del sud-est popolato principalmente da curdi. Due poliziotti sono morti e tre sono stati feriti. Con queste fatalità, il numero dei poliziotti uccisi dal PKK dal 24 luglio sale a 33, un altro segno della crescente atmosfera bellicosa nell’est e nel sud-est del Paese.
La domanda che affiora adesso è se sia possibile per le forze di governo vincere la nuova guerra del 2015 come ha fatto negli anni ’90. Non è necessario riflettere a lungo su questa domanda. Non è possibile sostenere una guerra simile, per cui un dibattito su chi vincerà diventa irrilevante. Ci sono diverse ragioni per fare questa affermazione.
Primo, negli anni ’80 e ’90 l’epicentro del movimento curdo era principalmente nelle aree rurali. Il PKK cercava soprattutto di incoraggiare una rivolta degli abitanti dei paesi. Nel terzo millennio, con la politicizzazione della questione curda e la trasformazione del movimento curdo in fenomeno di massa, il centro di gravità si è spostato dalle aree rurali alle città. Non sarebbe realistico pensare che la politica della terra bruciata degli anni 90, progettata per evacuare forzatamente le aree rurali per privare il PKK di queste risorse, possa essere ora ripetuta nelle aree urbane. Non sarebbe facile trattare con l’instabilità sociale, urbana ed economica causata da scontri tra migliaia di militanti urbani e lo Stato. Ne sarebbe facile spiegare quest’immagine al resto del mondo.
Secondo, l’opinione pubblica turca non è convinta che la guerra iniziata da Erdogan sia essenziale per la sicurezza della Turchia. Il segno visibile di questo sono le proteste delle famiglie dei poliziotti e dei soldati uccisi e della folla che ha partecipato al funerale e che ritiene che il governo sia il primo responsabile. Terzo, per la prima volta in 13 anni di governo del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), lo stato di non ostilità è stato scartato e la ripresa della guerra è stata la scelta politica del governo per le prossime elezioni. Negli anni ’90 la lotta dello Stato per sconfiggere militarmente il PKK era di natura strategica, mentre la decisione attuale di non ostilità risponde a dei fini politici.
Quarto, Ocalan era l’unico leader del PKK. La sua cattura ha scosso l’organizzazione dalle radici. L’attuale leadership del PKK basata nelle montagne Qandil in Iraq è un’entità collettiva, di conseguenza è impossibile ottenere dei risultati significativi colpendo una sola persona. Quinto, grazie all’estensione siriana del PKK, Il Partito Democratico dell’Unione (PYD) sostenuto dagli Stati Uniti, il PKK è diventato il partner militare più affidabile per l’Occidente nelle operazioni militari contro lo Stato Islamico. Inoltre, il PKK è emerso come il solo difensore del secolarismo in una regione sommersa dall’estremismo religioso. Nell’opinione pubblica occidentale, tutti questi meriti contribuiscono alla legittimità del movimento curdo in Turchia.
Sesto, il conflitto ha drammaticamente peggiorato la sicurezza economica, minacciando la fragile economia turca. Il settore turistico ne ha sofferto ed è comunemente accettato che la guerra gioca un ruolo nella quotidiana svalutazione della lira turca contro il dollaro statunitense.
Ora, se il governo di Erdogan persiste in questa guerra irrazionale, la leadership del PKK sule montagne Qandil può intensificare la guerra, come abbiamo visto nell’attacco del 6 settembre, o la guerra può andare fuori controllo a causa delle sue proprie dinamiche. Se questo succede, la Turchia potrebbe dover affrontare la diffusione della violenza nelle grandi città, scontri etnici tra curdi e turchi, l’internazionalizzazione della questione dei curdi in Turchia e il ritorno della tutela militare. Per proteggere la Turchia da tali rischi, è necessario cercare un cessate il fuoco e assicurare che le elezioni del primo novembre si tengano in un ambiente sicuro.
Kadri Gursel è un giornalista di Al-Monitor: Turkey Pulse.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu
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