Di Federica Cocozziello Visconti (Sayed Kashua, Due in uno, Neri Pozza Ed.)
“Yonatan non aveva fotografato occasioni speciali, matrimoni o compleanni. Lui ritraeva persone, espressioni, rughe sorrisi. Sapeva immortalare in bianco e nero tristezza, un attimo di riflessione, paura, felicità, ansia”.
Il prodigio di Yonatan è quello di provocare e stanare i timori nascosti di chi abita i vicoli secolari di Gerusalemme.
L’avvocato, che ambisce ad un’ascesi professionale che sia anche umana e che tuttavia non riesce a vincere le spinte contrarie di un’irrazionalità viscerale: scoperto un presunto tradimento, precipita in un baratro di meschinità dal quale non riuscirà più a risalire, condannandosi ad una spola simbolica tra via Salah-a-Din (Gerusalemme Est, indicata dagli arabi come futura capitale della Palestina) e King George Street (Gerusalemme Ovest, nel cuore della città ebraica).
Amir invece, col suo muoversi leggero tra due essenze, quella araba e quella israeliana, ci accoglie nel romanzo e ci guida dalla residenza universitaria del Monte Scopus nel quartiere di Beit Hanina “dalla parte giusta del posto di blocco”; insieme a lui facciamo colazione con l’hummus di Abu-Ali in via Salah-a-Din e pranziamo con le cotolette impanate avvolte nella pita di Abu-Ilaz.
Scendiamo dalla Mercedes nera di lusso dell’avvocato e passeggiamo nei quartieri di Wadi Jos, Nan el-Amud, Jabel Mukaber; saliamo sui taxi collettivi oppure rincorriamo gli autobus dismessi della compagnia israeliana Eged che i palestinesi hanno dipinto di blu.
Sotto i nostri occhi, le vite dei due uomini si sfiorano e si intrecciano in un inseguimento ostinato che cattura e toglie il fiato e ci convinciamo che una storia così può accadere solo in Israele, a Gerusalemme.
Eleonora
4 Dicembre 2013Mi ha molto incuriosito…andrò subito a leggere!
Grazie!!!