Di Walid Ramzi. Magharebia (07/12/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.
Le Nazioni Unite e l’International Business Times pubblicano nuove statistiche sui legami che al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI) e altre formazioni terroriste di stampo islamico del Sahel hanno stretto con i cartelli della droga sudamericani, in primis le Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC). Un fenomeno recentemente denominato “narcojihadismo” e che rivela la vera natura del terrorismo di matrice islamica.
Secondo le stime ONU, circa il 15% del prezzo di un grammo di cocaina finisce nelle tasche di AQMI e altri cartelli del jihad, il che fa del narcotraffico una delle principali fonti di guadagno di queste formazioni insieme ai rapimenti con richiesta di riscatto. Inoltre i trafficanti di droga, armi ed esseri umani (nel dare lo stesso valore alle merci e alla vita umana il narcotraffico e il jihad non sono così differenti dal capitalismo) pagano i gruppi terroristi per far passare per i territori da loro controllati i carichi di droga, soprattutto la cocaina proveniente dall’America Latina. Punto di arrivo, le coste nordafricane, passaggio fondamentale verso il mercato europeo.
Per il trasporto vengono utilizzate normali linee aeree, un metodo chiamato Air Cocaïne, su rotte che collegano la Colombia (e il Perù) a Paesi africani dai governi instabili e corrotti come Guinea Bissau, Sierra Leone e Mauritania. A seconda del punto di approdo, l’area d’azione dei narcojihadisti si estende quindi tra Libia, Niger, Algeria meridionale, Mali e Mauritania. Di questo giro l’intelligence algerina scrive rapporti e avvia inchieste dal giugno 2013, rilevando tentativi di infiltrazione sempre più frequenti da parte di trafficanti di droga e armi, complice la sicurezza precaria della regione. La scorsa settimana ad esempio 51 narcotrafficanti provenienti da Ciad, Niger e Sudan sono stati arrestati alla frontiera con il Niger.
“Si tratta in realtà di gruppi criminali che si nascondono dietro la religione” per i loro traffici illeciti, “che uccidono utilizzando droga, bombe o coltelli”. Così commenta il fenomeno Mohammed Lalami, professore universitario algerino, secondo cui “la lotta contro questo flagello esigerà la cooperazione dei paesi della regione, in particolare Marocco e Algeria”. Elementi che potrebbero essere utili a far luce sulla repentina ascesa economica e di controllo territoriale di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) in Iraq e Siria. Saida Swami, presidente di un’associazione algerina per la lotta contro le tossicodipendenze, ha riferito al sito di informazione Magharebia che alcuni dei suoi pazienti “le dicevano che i terroristi utilizzavano stupefacenti e allucinogeni e li distribuivano alle giovani reclute”.
Walid Ramzi è l’inviato di Magharebia da Algeri.
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