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Sabra e Shatila: la strage e l’abbandono

sabra e shatila

Di Zafer el-Khateeb. As-Safir (19/09/2015). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Quando l’uomo si tramuta in numeri privi di qualsiasi contenuto umano, nazionale, storico, sociale e culturale, non percepisce più il dolore o la strage, come nel caso dei palestinesi spinti a considerare Sabra e Shatila come una stazione tra le tante.

Perché? Come? Chi è responsabile? Interrogativi a cui è difficile rispondere con fermezza. Fino ad ora non siamo stati in grado di lodare Dio per una tale afflizione né tantomeno maledire quegli uomini per il proprio fallimento. Fin ora non si è stati in grado di produrre una narrativa palestinese reale. Ad ogni massacro segue una strage che agisce, uccide e costringe allo spostamento, per poi cadere nell’oblio. E viene abbandonato ogni tentativo di studio, per sfuggire ad una catena di quesiti che generano punizione.

Il massacro di Sabra e Shatila è senza dubbio un caso di studio, preceduto dal campo di Nabatieh e Tel el-Zaatar, e seguito da Nahr el-Bared e Yarmouk, dove le fiamme continuano a divampare, e infine Ain el-Hilweh. Ma proprio l’indifferenza ha condannato i palestinesi ad una sofferenza eterna.

Il numero delle vittime di Sabra e Shatila è smisurato. La strage ha lasciato tracce profonde; definirla “pulizia etnica” è limitante allorché il termine pulizia ne comprende anche una politica, psicologica, morale e materiale. È questo un massacro che racconta del fenomeno demografico palestinese. Le ondate migratorie al di fuori del Libano sono aumentate violentemente, registrando centomila rifugiati negli Anni ’80, a seguire negli Anni ’90 e nel terzo millennio.

L’insufficienza delle operazioni nazionali e la riduzione della capacità di sviluppo delle fazioni politiche sono tra le cause maggiori della formazione degli accampamenti. E ad esse si aggiunge l’inadeguatezza delle forze politiche di far fronte o evitare la morte e la distruzione di tali accampamenti. Dai campi profughi verso l’oceano libanese. Per non parlare poi delle altre catastrofi che vanno ad aggravare le sofferenze dei palestinesi e mirano alla negazione della loro esistenza, tra cui l’alto tasso di tossicodipendenza, di lavoro minorile, di divorzio, l’aumento dell’età matrimoniale, del livello di criminalità e violenza interna, la diminuzione del livello di istruzione, ecc.

Quei termini palestinesi che appartenevano all’epoca del progresso nazionale hanno ormai perso il loro spirito originario. Resistenza e lotta, ritorno e liberazione, fermezza e confronto non hanno alcun senso se risuonano unicamente nelle parole e nei discorsi dall’alto. È necessaria una narrativa palestinese che racconti di quanto accaduto nei campi, facendo luce sui ruoli e suoi responsabili, affinché Sabra e Shatila siano più di un semplice incidente da commemorare, e salvare così quanto resta di tali accampamenti, e in particolare oggi di Ain el-Hilweh.

Zaref el-Khateeb è direttore dell’associazione Nashet, con sede a Beirut, rivolta a rafforzare la partecipazione dei rifugiati palestinesi in ambito sociale ed economico.

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Roberta Papaleo

1 Comment

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  • UNA PARTE DEI PALESTINESI CHE MORIRONO AMMAZZATI A SABRA E CHATILA VENNERO PRECEDENTEMENTE DISARMATI DA UNA COALIZIONE DI MILITARI EUROPEI DI CUI L’ITALIA ERA IL PRINCIPALE ATTORE INCENSATA DAI NOSTRI SINDACATI, QUESTO PER CREARE LA PACE.
    O NO?