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Ritratto di un combattente straniero di Daish

Di Kjell Anderson. The Daily Star Lebanon (27/10/2014). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

È fuorviante pensare che chi perpetra atti di terrorismo o di  genocidio abbia innate caratteristiche psicologiche e che sia fuori dalle norme. Anzi, le motivazioni che spingono una persona a tali atti non sono tanto diverse da quelle comunemente riscontrabili in ciascuno di noi: desiderio di comunità, rispetto e sicurezza, timore di esser messo da parte.

Come si diventa allora autore di tali misfatti? E com’è emerso il fenomeno di stranieri che vanno a ingrossare le file di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS)? Daish è nato dall’instabilità e dal conflitto in Siria e in Iraq: perché alcuni occidentali hanno percorso migliaia di chilometri per partecipare a un conflitto che apparentemente non li riguarda?

Daish è composto da circa 35.000 combattenti, di cui un terzo sono stranieri. Questi possono essere divisi in fanatici e in ingenui. C’è che si unisce a Daish infervorato da un vero sentimento di fanatismo religioso e di militanza e chi ha una visione edulcorata di quale sia la reale posta in gioco del conflitto in Siria, semplificazione che emerge dalle varie defezioni, così come dalle domande superficiali che vengono poste sui network, come la necessità o meno di spegnere i cellulari durante uno scontro armato.

La maggior parte dei combattenti di Daish sono uomini sotto i 40 anni di età, ma è anche il primo movimento ad attrarre molte donne (10-15% delle reclute straniere). I Paesi da cui provengono più combattenti stranieri sono  l’Arabia Saudita, il Marocco e la Russia (Cecenia), e da parte occidentale la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio e la Germania.

Daish ha una strategia di reclutamento di combattenti stranieri molto più sofisticata di altri gruppi militanti. La maggior parte delle reclute stabiliscono un contatto con l’organizzazione via Internet, tramite i social media, invece di usare il vecchio metodo di proselitismo attraverso le moschee.

Le ragioni per entrare a far parte di Daish sono diverse: tante reclute non sono molto religiose, ma hanno piuttosto rifiutato l’Islam praticato dai loro genitori – che vedono come troppo “influenzato dalla cultura occidentale” – a cui preferiscono una militanza da autodidatta più violenta e radicale. Molte reclute, invece, entrano nel giro per motivi che non hanno niente a che vedere con la religione: alcuni sono solo annoiati e cercano qualcosa di avventuroso da fare, alcuni sono solo spinti dal narcisismo, in un tentativo di riscattare eventuali ferite come la discriminazione. Per queste persone, Daish è un modo per elevare il proprio status.

I gruppi terroristici come Daish sono formati da individui che scelgono liberamente di essere arruolati e abbracciano l’ideologia secondo la quale l’uso della violenza è un mezzo per raggiungere la purezza all’interno della comunità. Malgrado la maggior parte dei combattenti stranieri di Daish siano persone apparentemente “normali”, l’ideologia che praticano è genocida nelle sue implicazioni, è un ideologia distruttiva che necessita di una risposta umana collettiva.

Kjell Anderson è un ricercatore al Netherlands Institute for War, Holocaust and Genocide Studies.

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