Di Zouhir Louassini. L’Osservatore Romano (settimanale 24/01/2019).
Alcune cronache musulmane raccontano dell’’invito rivolto dal sultano d’Egitto al-Malik al-Kamil a san Francesco d’Assisi: gli chiese di accompagnarlo nella preghiera in moschea. Il santo accettò senza esitare, rispondendo così: «Pregherò il mio Signore. Egli si trova ovunque».
Si era nel settembre del 1219. La quinta crociata infuriava già da due anni tra i cristiani e l’islam. Il sultano al-Kamil aveva persino emanato un decreto promettendo una ricompensa in oro a chiunque gli avesse portato la testa di un cristiano. I crociati, guidati dal benedettino portoghese Pelagio Galvani, tentavano di prendere il porto di Damietta (oggi Dumyāt), a pochi chilometri dal Cairo, con l’intenzione di conquistare l’Egitto. È in queste circostanze che San Francesco decise di andare a predicare il Vangelo ai musulmani e di parlare al sultano di Cristo.
Al-Kamil era un signore della guerra, un politico e un diplomatico raffinato. Si rese subito conto di essere davanti a un uomo di Dio. Testimone dell’ardore e del coraggio del Santo, il sultano lo ascoltò con piacere esortandolo a prolungare la sua permanenza.
La storia racconta anche di come il Poverello scoprì Dio in quei fratelli che voleva strappare al diavolo. Cinque volte al giorno sentiva il richiamo del muezzin alla preghiera e vedeva il sultano prostrarsi e ripetere incessantemente: «Allah Akbar, Dio è grande». Dio può mostrarsi sordo al clamore dei suoi figli verso di lui? Il sultano l’aveva capito: davanti a sé non aveva un teologo che difendeva una tesi. Francesco non era un predicatore che entusiasmava le folle, esortandole. Quell’uomo vestito di tela di sacco era un poeta, preda dell’ispirazione più sublime. Con parole semplici e comprensibili, esprimeva l’eterno amore di Dio, ricreava l’universo con la sua luce, i suoi colori, la sua vita e il suo mistero.
Al-Kamil conosceva la religione cristiana. Eppure, un’obiezione lo portava a ripetersi le stesse domande: perché i cristiani che credono in un Dio-Amore e che hanno sempre la parola “carità” nelle loro bocche, fanno così volentieri la guerra contro di noi? Che interrompano l’assedio di Damietta e crederemo nel loro desiderio di pace. La storia racconta di come Francesco aveva abbassato gli occhi, il volto triste, oscuro. Di fronte a Damietta, sulle rive dell’antico Nilo, era dispiegato l’intero apparato bellico dei cristiani, un cerchio di ferro con cui giorno dopo giorno tentavano di strangolare la città.
La guerra può essere giusta e santa? A questa domanda Francesco si limitò a rispondere umilmente: «Sire, l’amore non è amato. L’amore in questo mondo è sempre stato crocefisso». In Le souci des pauvres (Ed Flammarion, 1996) Albert Jacquard narra che il sultano non dimenticò mai il sorriso di Francesco, la sua gentilezza e l’umiltà nell’espressione di una fede illimitata. Forse questo ricordo fu decisivo quando dieci anni dopo, senza nessuna costrizione di sorta, volle restituire Gerusalemme ai cristiani. Quello che le armate provenienti da tutta l’Europa non riuscivano a ottenere con la forza avrebbe potuto essere offerto dall’intelligenza e dalla tolleranza del musulmano Malik al-Kamil. Indubbiamente, la chiara visione di Francesco aveva continuato il suo lento lavoro nella coscienza di quest’uomo aperto al pensiero degli altri.
Nel 2019, ottocento anni dopo l’incontro tra il santo e il sultano, c’è ancora chi non ha capito che l’unica strada da percorrere tra gli uomini è quella del dialogo e della pace. Sarebbe giusto ricordare il pellegrino di Damietta e il suo incontro rivoluzionario ogni volta che ci viene la tentazione di offendere gli altri perché non la pensano come noi. Il dialogo tra islam e occidente cristiano riparte dal Poverello di Assisi che non ha fatto altro che applicare il messaggio di Cristo, anche pregando con cuore sincero in una moschea.
Ripartire dal Poverello di Assisi
Dal blog In poche parole di Zouhir Louassini
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