Di Mustafa Zein. Al-Hayat (05/03/2016). Traduzione e sintesi di Sofia Carola Sammartano.
Hillary Clinton ha facilmente sconfitto il suo rivale Bernie Sanders. Le lobby, Wall Street e le istituzioni che i presidenti americani hanno usato per raggiungere la Casa Bianca hanno sferrato l’attacco. Mentre la signora rende omaggio ai finanziatori della sua campagna, confermando di mantenere i loro interessi e di rafforzare la loro influenza nella gestione, mobilita i lobbisti, specialmente l’AIPAC, e reitera l’impegno di tutti i presidenti precedenti a continuare il sostegno politico e militare di fronte a palestinesi e arabi, rifiutando qualsiasi tipo di critica che sia americana o meno.
Alcuni democratici, come il vice presidente Biden, manifestano il proprio sentimento sionista e rivendicano il diritto di Washington a sorvegliare il ritorno degli ebrei alla “Terra Promessa”. Una cosa che sorprende nella campagna elettorale di Hillary Clinton è l’intervento dell’uomo d’affari ebreo Haim Saban, che con la sua posizione pro-Israele si è guadagnato l’attenzione dei giornali israeliani, facendogli appoggiare la campagna della ex first lady. Va inoltre ricordato come, nel 2008, quando venne chiesto alla Clinton che cosa avrebbe fatto se avesse vinto le presidenziali e l’Iran avesse attaccato Israele con armi nucleari: “Cancellerò l’Iran dalla faccia della terra”, rispose. Naturalmente, l’Iran non ha attaccato Israele, né lei è arrivata alla presidenza.
Il giornale britannico The Guardian ha pubblicato una lettera di Clinton a Saban in cui si leggeva che, se mai arrivassero alla Casa Bianca, permetterebbe “a Israele di uccidere 200 mila palestinesi di Gaza, non solo 2.000, proprio come è successo nella recente aggressione alla Striscia”.
Questo è il modello democratico americano che attende i palestinesi e gli arabi: appoggio totale nei confronti di Israele e forse la voglia di intervenire ancora militarmente in Medio Oriente per smantellare ciò che resta dei paesi arabi, dopo l’isolamento di Barack Obama e le guerre per procura.
Un po’ quello che hanno sempre fatto i repubblicani, da Reagan fino a George W. Bush e all’occupazione dell’Iraq, che ha causato la distruzione e la divisione del paese, naturalmente mentre Israele veniva difesa e si aumenta l’invio di aiuti e il coordinamento con Tel Aviv. Forse Henry Kissinger preferiva che i repubblicani esprimessero tale politica in Oriente, dal momento che non vedeva il vantaggio di istituire uno Stato palestinese o di “aggiungere un altro Stato fallito agli Stati falliti in Medio Oriente”.
Adesso abbiamo Donald Trump, che non poteva sopportare la presenza di americani neri durante un suo discorso e ha provveduto alla loro espulsione dalla sala. Ora si trova bloccato in una lotta contro il suo partito a causa della sua franchezza nell’esprimere la sua politica interna ed estera. Persino il senatore Lindsey Graham, noto per la sua ostilità a tutto ciò che è arabo, non ha esitato ad attaccare Trump per aver distorto l’immagine del partito.
Tuttavia, nonostante la campagna contro Trump, rimane sempre lui l’uomo che ha registrato vittoria dopo vittoria sui suoi rivali, suggerendo che il razzismo non è appannaggio dei politici nella società americana, ma è anche scavare in profondità nel cuore di questa comunità che ha sconfitto Sanders, libero dalle pressioni di media, aziende e lobbisti.
Mustafa Zein è un giornalista ed editorialista del giornale Al-Hayat.
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