Di Basheer Musa Nafi. Al-Quds Al-Arabi (24/11/2016). Traduzione e sintesi di D’Agostino Veronica.
Il 19 novembre scorso, durante il viaggio di ritorno dalla visita in Pakistan e Uzbekistan, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato ai suoi giornalisti che il suo paese deve affrontare la questione dell’adesione all’Unione Europea con tranquillità, poiché non è la fine del mondo. Egli ha esitato a rivelare le sue spiegazioni, sottolineando che la Turchia ha già richiesto di entrare a far parte dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, la quale conta finora 5 Stati guidati di Cina e Russia. Questi commenti arrivano pochi giorni dopo il suo discorso furioso lanciato contro il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz. L’escalation di tensione nei rapporti tra Ankara e Bruxelles si è infatti acutizzata, soprattutto dopo il fallito golpe in luglio.
La posizione europea nei confronti della Turchia è chiara: l’Unione adotta una politica “di non adesione, ma di negoziati”, come ha affermato la cancelliera tedesca Angela Merkel. In altre parole, si intende prolungare il processo all’infinito, mantenendo al tempo stesso costante il legame tra Turchia e Europa.
“L’Europa svolge il ruolo di sponsor del terrorismo”, ha affermato Erdogan qualche settimana fa. Dal canto suo, il Parlamento Europeo ha risposto condannando il processo di pulizia del governo turco alle istituzioni statali, (come Fetullah Gülen, accusato di essere l’artefice del golpe) e avverte di congelare la richiesta di adesione all’Unione; mentre Erdogan, in risposta alla minaccia europea di sanzioni economiche, ha sollevato l’idea di indire un referendum popolare proprio sulla questione.
La Turchia, inoltre, sembra essere ai ferri corti anche con gli Stati Uniti. Il 6 novembre scorso, il generale Joe Dunford, presidente del Joint Chiefs of Staff, ha visitato Ankara e ha tenuto dei colloqui con il suo omologo turco, Hulusi Akar. Ciò che è emerso dall’incontro è che gli americani si sono impegnati a non far entrare le forze popolari nella città irachena di Tal Afar, a maggioranza turkmena, dopo la sua liberazione da Daesh (ISIS). Inoltre, le forze del Partito Democratico del Kurdistan (PDK) si sarebbero ritirate rapidamente dalla città siriana Manbij, a est dell’Eufrate, e alle stesse forze curde non è stato permesso di entrare nella città di Raqqa, ancora sotto il controllo di Daesh. Nel frattempo però, fonti hanno riferito che nel nord dell’Iraq, anche le unità curde legate al PDK stanno avanzando verso la città di Tal Afar; mentre nel nord della Siria, invece di ritirarsi da Manbij, le unità del PDK stanno raggiungendo la città di Al-Bab, nel tentativo di anticipare l’arrivo dell’esercito libero.
Coloro che hanno detto che i rapporti tra Turchia e USA hanno qualcosa di buono, credono che la politica americana nel nord dell’Iraq e della Siria miri a coinvolgere la Turchia nella guerra in atto nei due stati. Coloro che invece mantengono una buona dose di scetticismo, sostengono che la politica dell’amministrazione Obama si basi sulla presenza delle forze ostili alla Turchia nella zona di confine tra Iraq e Siria, al fine di isolare la Turchia dal suo vicinato arabo.
Pertanto, nonostante negli ultimi 100 anni, la Repubblica di Turchia abbia difeso i rapporti istituzionali con gli Stati Uniti e i paesi europei, oggi si ritrova ad affrontare di un momento di crisi senza precedenti. Per essere salvati da un ulteriore deterioramento, questi rapporti avranno bisogno di uno sforzo ancor più grande.
Basheer Musa Nafi è uno storico specializzato in Storia dell’Islam e del Medio Oriente.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu
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