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Pro e contro della rivoluzione yemenita di febbraio

SANA'A, YEMEN - JANUARY 23: Thousands of Yemeni Shiite Houthi followers take part in a protest in Sana'a, Yemen on January 23, 2015 against cartoons by a French magazine Charlie Hebdo mocking Islam's prophet Mohammad. (Photo by Onur Coban/Anadolu Agency/Getty Images)

di Nabil al-Bakiry. Al-Araby (16/02/2019). Traduzione e sintesi di Giorgia Temerario.
La storia contemporanea dello Yemen è stata testimone di numerosi tentativi di rivoluzione, la maggior parte dei quali non ha portato da subito al successo: le rivolte del 1948 e 1955, seguite da numerosi altri tentativi come il 26 settembre 1962 e il 14 ottobre 1963; infine, l’11 febbraio 2011 che avrebbe dato l’input per il successivo colpo di Stato del 21 settembre 2014.
La rivoluzione di febbraio, infatti, rimane uno dei momenti storici decisivi per lo Yemen in cui si è giunti a un’unanimità nazionale per liberare il paese dalla morsa della corruzione. Intesa come rivolta pacifista, in una società continuamente afflitta dalla violenza, tale rivoluzione ha sortito effetti tutt’ora evidenti. Tuttavia, non è rimasta esente da numerosi errori, frutto di una generazione che si è ritrovata di colpo al centro di eventi inattesi, senza alcuna esperienza politica.
I primi due errori sono stati impedire ai giovani di dare forma innovativa al loro programma e cedere la governance ai partiti politici. Risultato: repressione del governo dei giovani e ricorso a un negoziato con il regime, che ha trasformato la rivoluzione in un negoziato politico. Il terzo errore è stato una mancata coscienza storica dei rivoluzionari, che ha agevolato un continuo ritorno alla leadership religiosa, divenuta vittima della sua troppa tolleranza nei confronti delle potenze politiche. Infine, il quarto errore è stato impedire ai ribelli di comprendere l’equilibrio delle potenze locali e internazionali e, di conseguenza, la dinamica degli eventi.
Negare questi errori porterebbe a una loro ripetizione, così come non è possibile ignorare l’esistenza di aspetti positivi; primo fra tutti il fatto che questa rivoluzione abbia aperto il vaso di Pandora del governo yemenita, mettendo in luce i mali che hanno afflitto il paese per mezzo secolo. Tra questi si annovera l’organizzazione del governo hascemita, paragonabile a un virus che ha ucciso dall’interno la struttura del sistema, ostacolandone per decenni la ripresa politica.
Il secondo fattore positivo dell’11 febbraio è stato affrancare la volontà popolare, da tempo ostaggio delle élites politiche disoneste e della criminalità, in un processo tutt’altro che semplice. Inoltre, il movimento ha trovato il consenso nella regione, superando la concezione politica accentratrice che per decenni ha umiliato lo Yemen. Infine, la rivoluzione ha capovolto il pensiero tradizionale democratico che rischiava altrimenti di divenire dominante, rimanendo un mero movimento pacifista, escluso dalle agende in conflitto.
In conclusione, potremmo dire che nonostante tutte le controversie, la rivoluzione dell’11 febbraio rimane un momento decisivo nella storia dello Yemen, i cui obiettivi vanno però rafforzati e perseguiti per impedire che rimanga un mero sogno rivoluzionario passeggero.

Nabil Al-Bakiry è un giornalista e ricercatore yemenita.
Vai all’originale:
https://www.alaraby.co.uk/opinion/2019/2/15/ثورة-فبراير-اليمنية-ما-لها-وما-عليها-1

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