Perché la Palestina ha aderito alla Corte penale internazionale

The Atlantic (31/12/2014). Traduzione e sintesi di Carlo Boccaccino.

Martedì la Giordania, agendo per conto dell’ANP, non era riuscita ad assicurarsi durante il Consiglio di Sicurezza dell’ONU voti sufficienti per far approvare la mozione che avrebbe posto fine all’occupazione israeliana, stabilito una capitale palestinese a Gerusalemme Est e imposto il ritiro completo delle forze israeliane dalla Cisgiordania entro il 2017. La risoluzione aveva bisogno di 9 voti su 15, ma ne ha ottenuti otto, con gli Stati Uniti che hanno votato contro, la Gran Bretagna che si è astenuta e Francia, Cina e Russia che hanno votato a favore. Alcuni si sono chiesti perché la questione sia stata proposta proprio adesso, quando invece a gennaio la rotazione avrebbe portato all’interno del Consiglio di Sicurezza nuovi Paesi, come la Malesia, che con più probabilità avrebbero votato a favore della risoluzione. Probabilmente Abu Mazen ha spinto per una votazione immediata per evitare il veto degli Stati Uniti e i dibattiti che ne sarebbero scaturiti.

L’ambasciatore americano presso l’ONU Samantha Power ha spiegato così il voto degli Stati Uniti: “L’amministrazione Obama è convinta che un’azione unilaterale o diretta ad aderire agli organismi internazionali non sia produttiva e non crei una pace duratura. L’amministrazione preferisce un processo di pace negoziato tra Israele e Palestina. Quest’anno i colloqui di pace, condotti dal Segretario di Stato John Kerry, si sono arenati anche a causa dell’insistenza dei negoziatori palestinesi a voler aderire a vari trattati e convenzioni dell’ONU, sebbene abbiano giocato un ruolo importante anche la continua costruzione di insediamenti da parte di Israele”.

Mercoledì, contro il parere americano, Abu Mazen ha aderito allo Statuto di Roma, che regola la Corte penale internazionale, permettendo di fatto a quest’ultima di indagare per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e per genocidio sui territori palestinesi, collegati alle attività di insediamento di Israele. Il gruppo umanitario Human Rights Watch ha accusato più volte Israele di aver perpetrato crimini di guerra: ad esempio nel settembre del 2014 per aver ucciso 45 palestinesi rifugiatisi in una scuola dell’ONU facilmente riconoscibile e nel 2009 per aver ucciso civili con lanci di missili, per l’assassinio di 11 civili che avevano issato bandiera bianca e per l’uso di armi al fosforo bianco in aree ad alta densità abitativa.

L’ingresso dell’ANP nella Corte penale internazionale è dunque visto come una provocazione, che potrebbe comportare ritorsioni da parte di Israele, che minaccia di tagliare i trasferimenti fiscali verso l’ANP e di revocare i privilegi per i viaggi degli ufficiali palestinesi, e ritorsioni da parte degli Stati Uniti, che avevano precedentemente annunciato che avrebbero tagliato gli aiuti se l’ANP avesse aderito ad organi internazionali come questo. Abu Mazen ha spiegato così la sua decisione di aderire alla Corte: “È in atto un’aggressione nei confronti della nostra terra e del nostro Paese, e il Consiglio di Sicurezza si è opposto a noi – cosa avremmo dovuto fare?”.

Noah Gordon è laureato in Scienze Politiche alla University of Michigan e lavora come editorialista al The Atlantic.

Vai all’articolo originale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *