Accusata di omicidio per l’uccisione di Morteża ʿAbdolʿali Sarbandi – colpevole di aver tentato di usarle violenza- Reyhanah Jabbari è stata impiccata nei sotterranei del carcere di Gohardasht in Iran il 25 ottobre del 2014. Aveva 26 anni.
Hajras al-Ourey viaggiava con suo figlio nei pressi di al-Khadra, al confine tra Arabia Saudita e Yemen. La macchina di Hajras venne fermata a un posto di blocco della polizia, ma il 53enne affetto da disturbi psicologici non resse la tensione e fuggì.
Arrestati dalle forze di sicurezza saudite, Hajras e il figlio furono accusati di spaccio di stupefacenti. Al-Ourey durante l’interrogatorio si dichiarò colpevole del fatto. Sostenne che la sua confessione fosse stata estorta con la tortura. Hajras al-Ourey venne ucciso il 22 settembre 2014.
Quella di Reyhanah e di Hajras sono due delle storie che si nascondono dietro i numeri pubblicati nel rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte.
Sono 607 le persone decapitate, impiccate, uccise per iniezione letale o fucilate nel 2014, e 2446 quelle condannate a morte.
Il Medio Oriente registra un primato negativo in materia. Con 491 esecuzioni (2 in più rispetto all’anno precedente) l’area si aggiudica il primo posto per numero di “assassinii di Stato”.
Il primato assoluto va all’Iran, dove nel 2014 sono state portate a termine le condanne a morte per 289 persone. A seguire l’Iraq con 90 esecuzioni e l’Iraq con 81. I tre Stati conquistato tristemente un posto nella top five mondiale insieme alla Cina e agli Stati Uniti.
Secondo il rapporto pubblicato da Amnesty International la maggior parte delle condanne a morte nei paesi mediorientali viene perpetrata per reati che riguardano la religione e l’attacco alle autorità governative: in Iran la maggior parte dei condannati sarebbe stato accusato di “insulto al Profeta dell’Islam”, mentre in Arabia Saudita di “disobbedienza e infedeltà al sovrano”.
L’aumento dell’instabilità interna e la minaccia del terrorismo sarebbero le cause dell’incremento dell’utilizzo della condanna a morte nel mondo, due aspetti che caratterizzavano la situazione politica e sociale della regione MENA in questi ultimi anni. Ma secondo l’ONG internazionale “non vi sono prove che la pena di morte abbia un maggior effetto deterrente rispetto sulla criminalità rispetto alle pene detentive.
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