Ecco per voi un estratto di un romanzo dello scrittore libanese Rachid Daif. L’autore, rivolgendosi al suo interlocutore Yasurani Kawabata, gli spiega come mai stia indirizzando le sue lettere proprio a lui e non a un altro intellettuale, magari arabo.
Caro Kawabata,
lo sai ora perché mi rivolgo a te, solo a te e a nessun altro dei miei connazionali arabi, e talvolta mi dico che tu saresti potuto non esistere, e ho paura. Non mi hai forse salvato, con quello che hai fatto nell’ultimo momento della tua vita?
Inoltre forse saprai che se i miei connazionali arabi non mi credono, non lo fanno perché sono convinti della virtù dell’oblio, o per la necessità del progresso. In genere essi si nutrono della memoria, della grande memoria, basandosi sull’idea che noi arabi, un tempo, eravamo signori della terra. Ecco perché la rinascita è un tema su cui vertono in genere tanto i discorsi politici quanto la letteratura.
Quei miei connazionali conoscono esattamente il futuro, perché si sono già fatti un’idea sul passato, come lo preferiscono vedere, e come vorrebbero che fosse e, quando hanno un problema, sanno in anticipo qual è la causa. La loro sofferenza è l’amarezza che scaturisce dall’incapacità di realizzare le loro aspirazioni chiare e precise.
Buona Lettura!
Add Comment