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Palestina-Israele: i quattro errori di Kerry

Di Benjamin Barthe. Le Monde (08/04/2014). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

Non dando ragione né agli israeliani né ai palestinesi, piombati di nuovo in una crisi che potrebbe risultare fatale alle negoziazioni rilanciate a luglio scorso, Kerry non è riuscito a servire la causa della pace nel Vicino Oriente. In questa vicenda, il presidente palestinese Mahmoud Abbas e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sono stati fedeli alla loro linea; chi ha fallito nella sua missione è stato il segretario di Stato americano. Ecco perché:

1) La colonizzazione a pieno regime: Nel 2013, il numero di insediamenti messi in cantiere nelle colonie cisgiordane è aumentato del 123% rispetto al 2012, mentre all’interno di Israele, nello stesso periodo, l’aumento non ha superato il 4%. La prima ragione delle turbolenze attuali si trova in queste percentuali diffuse dall’ufficio delle statistiche israeliano: Kerry non ha saputo né arrestare né frenare il rullo compressore della colonizzazione.

2) Gli europei fuori gioco: Kerry avrebbe potuto affidare il compito di correggere le asimmetrie inerenti alle negoziazioni tra le due parti agli europei. Quando si sono riaperti i negoziati, Bruxelles aveva annunciato nuove direttive che escludevano le colonie ebraiche dai programmi comunitari di cooperazione, sperando che i ruoli sarebbero stati ripartiti tra Europa e Stati Uniti. Kerry ha invece ceduto alla solita mania di Washington di instaurare un processo di pace in tête à tête con Israele.

3) Il diritto internazionale messo da parte: I palestinesi hanno accettato che i negoziati portassero su un semplice accordo-quadro (voluto da Israele), e non su un piano integrale di pace, perché speravano che l’accordo avrebbe incluso i termini di riferimento storico del processo di pace, in particolare le frontiere del 1967 consacrate dalla risoluzione 242 delle Nazioni Unite. Tuttavia Kerry, invece di concentrarsi su questo corpus, si è lasciato imbrigliare da Netanyahu, portando avanti una discussione sterile su due punti inaccettabili per i palestinesi: il riconoscimento di Israele come Stato ebraico e il mantenimento delle truppe israeliane nella Valle del Giordano. Solo a fine marzo, Kerry ha avuto il coraggio di dichiarare che la polarizzazione del dibattito sulla questione dello Stato ebraico era un “errore”.

4) Né data di scadenza né ripercussioni in caso di fallimento: Kerry avrebbe potuto tentare di eludere le manovre dilatorie di Netanyahu rifiutando che il processo di pace si dilungasse e avvisando che la parte responsabile del blocco si sarebbe esposta a dei contraccolpi. Avrebbe potuto dire che in caso di ostruzione israeliana gli Stati Uniti non si sarebbero più opposti all’adesione dell’Autorità Palestinese alle Nazioni Unite.

Kerry ha quindi riprodotto uno ad uno tutti gli errori dei suoi predecessori, come se la diplomazia americana fosse incapace di oltrepassare il paradigma di Oslo, malgrado tutti i vizi interni che lo contraddistinguono.

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