di Katia Cerratti
“L’appello è accolto. Le sentenze dell’ Alta Corte e del Tribunale di primo grado vengono annullate. Di conseguenza, la condanna della ricorrente è annullata così come la sua condanna a morte e la stessa è prosciolta dall’accusa. “. Con questo verdetto, il giudice pakistano Saqib Nisar, venerdì scorso a Islamabad, ha posto fine al calvario di Asia Bibi, la donna pakistana cristiana, in carcere dal 2009 con l’accusa di blasfemia.
Asia, 53 anni, fu infatti accusata da due donne musulmane di aver insultato il profeta dell’Islam Maometto e il Corano durante una lite scatenata dal suo rifiuto di bere nello stesso recipiente. Questa la versione delle due donne ma in realtà, ad Asia fu impedito di prendere l’acqua perché cristiana.
Condannata a morte nel novembre 2010, l’Alta corte di Lahore aveva poi confermato la sua condanna quattro anni dopo, in tal modo Asia ha cosi trascorso ben nove anni nel braccio della morte del carcere di Islamabad. Finalmente la Corte suprema ha rilevato evidenti e nette contraddizioni nelle prove dell’accusa decidendo così di assolverla.
Quello della blasfemia è un tema delicatissimo in Pakistan e molto spesso le controversie vengono risolte con pestaggi e linciaggi. Giustizia sommaria dunque. A questo proposito, al Jazeera riporta un dato inquietante: solo nel 1990 infatti, in Pakistan 74 persone sono state uccise per linciaggi legati alla blasfemia.
Ci sarebbero inoltre ancora 40 persone in attesa di esecuzione o condannate all’ergastolo proprio a causa dell’utilizzo selvaggio delle leggi sulla blasfemia, fenomeno che ha portato a una vera e propria persecuzione delle minoranze religiose.
La notizia dell’assoluzione di Asia non è stata ben accolta da partiti e organizzazioni religiose di estrema destra, scese in piazza in tutto il paese per protestare contro la sentenza, chiedendo addirittura la morte dei giudici che l’anno emessa.