Politica Zoom

Opposti fondamentalismi mediorientali

Di Mohammed Khaled al-Azaar (Dar al-Hayat – 08/01/2012). Traduzione di Carlotta Caldonazzo

Non è corretto ritenere che l’ascesa dei partiti islamici nelle roccaforti della “primavera araba” sia soltanto un’eco dell’enorme ruolo delle forze ebraiche fondamentaliste a Tel Aviv. D’altra parte l’autorità strisciante dell’islam sulla politica e sui governi del mondo arabo non è un fatto nuovo o moderno, né la radice biblica è un fatto eccezionale all’interno del progetto sionista e della sua deformata narrazione storica.

Ciononostante non si può affermare con certezza che la presenza ingombrante delle forze islamiche al centro della scena politica araba attualmente sia un fenomeno del tutto privo di connessioni con l’ascesa della corrente ebraica fondamentalista e le sue manifestazioni razziste e aggressive in Israele. Sarebbe più giusto affermare che, pur essendo i due fenomeni separati e le loro orbite indipendenti, tra essi c’è un cerchio nel quale si intersecano avendo in comune impatto e ripercussioni.

Si tratta nondimeno di fenomeni separati, in quanto il progetto israeliano di colonizzazione ha il suo fondamento e la sua impalcatura ideologici nell’immaginario biblico, a prescindere dalla fondatezza o dalla sua vacuità di quest’ultimo. È risaputo che i primi fautori del sionismo per attuare il loro progetto hanno scelto la Palestina senza proporre regioni alternative a causa della loro attrazione per essa e della relativa nostalgia religiosa, rinfocolata da potenti campagne propagandistiche e di pensiero.

La dimensione religiosa era e rimane tuttora uno dei canali fondamentali per attrarre gli ebrei del mondo nel progetto sionista. Nondimeno a indicare l’importanza dell’utilizzo di tale dimensione è la conferma della centralità di Gerusalemme nella coscienza ebraica e il ripetuto riferimento alla leggenda della distruzione e ricostruzione del tempio. Bisogna osservare l’autorità che riveste la narrazione religiosa per decine di migliaia di cristiani occidentali, secondo i quali l’insediamento e la colonizzazione di Israele appartengono al popolo ebraico e preludono l’imminente ritorno del salvatore prima della fine del mondo. D’altra parte la struttura culturale che soggiace alla vita della nazione araba non si comprenderebbe prescindendo dalla fede islamica. Nello studio della fioritura e del declino delle civiltà, i primordi di quella araba vengono sempre menzionati accanto alla religione islamica, al punto che l’espressione più frequente e costante in questo campo è “civiltà arabo-islamica”. Tuttavia è esagerato negare che gli arabi abbiano avuto civiltà precedenti alla nascita dell’islam.

Tra le manifestazioni del legame molto stretto tra arabi e islam c’è il disinteresse degli arabi per la nazionalità di alcuni uomini di governo e di potere finché sono musulmani. Una caratteristica rimasta in vigore dalla comparsa dell’islam all’incirca fino alla fine della prima guerra mondiale e alla caduta dell’impero ottomano. In base a questa convinzione gli arabi non guardavano ai califfi ottomani come colonizzatori. Fino all’ultimo istante di vita dell’impero ottomano, ampi settori del mondo arabo sono rimasti ottomani di adozione, con la volontà di riformare quel tipo di stato e non di farlo scomparire. Ci sono testimonianze che inducono a credere che il movimento islamico nel mondo arabo in generale abbia influito in un modo o nell’altro su ciò che rappresenta il progetto sionista in termini di sfide religiose. Cento anni fa le consultazioni in Occidente sull’attuazione del progetto sionista si tenevano proprio mentre il mondo arabo correva verso la disintegrazione su basi nazionali, a partire dal dominio ottomano, che invece si era esteso sotto la pressione del vincolo dell’islam. Immediatamente dopo la scomparsa di tale dominio, l’ideale del nazionalismo arabo è riuscito a radicarsi ulteriormente a discapito delle tendenze politico-religiose islamiche tradizionali. Vale la pena menzionare che il re Faisal I bin al-Hussein ha coniato il detto “la religione per dio, la patria per tutti”, noto fino a oggi come indice dello stato civile privo di parzialità religiosa.

Insomma, il conflitto arabo-israeliano in corso e il reiterarsi della frustrazione delle forze nazionaliste arabe hanno restituito splendore, impulso e attrattiva a chi ha una prospettiva religiosa nello spazio politico arabo. Alcuni ad esempio hanno spiegato la disfatta degli arabi del 1967 con il loro allontanamento dall’islam, dai suoi precetti e con l’atteggiamento tirannico delle sue forze politiche. Inoltre il carattere eccessivo di alcune correnti religiose israeliane estremiste nel mettere in luce la natura religiosa del conflitto e il loro insistere con la “ebraicizzazione” di Gerusalemme e se possibile della Palestina erano e restano due fattori sufficienti per sollevare l’opposta visione di resistenza da parte araba. Secondo chi la condivide la Palestina è terra santa dell’islam e Gerusalemme è il luogo dell’ascensione del profeta Mohammed, la prima qibla (luogo verso il quale si rivolgono le preghiere. NdR) e il terzo santuario. Elementi che per loro non devono mai essere persi di vista.

Attualmente, i tentativi di affermare il carattere religioso dello stato di Israele procedono contemporaneamente, e con pari vigore, alla conquista da parte delle forze islamiche di posizioni di rilievo nel panorama politico arabo. Sia che tale rapporto di simultaneità sia frutto di una coincidenza o che sia una manifestazione de fatto che il sionismo israeliano provochi una reazione araba islamica, è probabile che complichi ulteriormente i tentativi di appianare la situazione poiché gli aspri conflitti tra sfere spirituali e religiose raramente accettano soluzioni transitorie o compromessi.