(El Pais 07/10/2012). Traduzione di Claudia Avolio.
L’industria svedese ben nota, Ikea, primo marchio mondiale del mobile, ha capito questa settimana quanto sia facile sbarazzarsi delle donne. Grazie all’edizione svedese del quotidiano gratuito Metro, a Stoccolma sono venuti a conoscenza del fatto che, nella filiale Ikea dell’Arabia Saudita, il catalogo della multinazionale del mobile è stato editato eliminando le donne dalle fotografie. In una delle foto si vedeva una donna in pigiama in una stanza da bagno; in un’altra c’erano delle donne designer che danno vita ai prodotti del marchio Ikea. Ognuna di loro è sparita dal catalogo editato appositamente per il pubblico saudita. Agli impiegati dei tre centri Ikea dell’Arabia Saudita dev’essere parsa una cosa normale, per un Paese in cui gli uomini hanno impiantato un ferreo sistema statale di discriminazione sessuale. Sistema che, tra le altre cose, rende invisibile metà della popolazione. Lì le donne devono portare il velo, non possono uscire per strada da sole e neppure guidare.
Diverse ministre del governo di Svezia – il Paese simbolo dell’uguaglianza – si sono fatte sentire a gran voce. La più dura è stata quella di Nyamko Sabuni, ministra per l’Uguaglianza di Genere, la quale ha detto che se c’è un luogo nel mondo che ha bisogno dei valori di Ikea questa è proprio l’Arabia Saudita. Lo scorso lunedì Ikea ha ammesso di aver ritoccato le foto del catalogo saudita, ma la sua prima reazione non è stata granché. La portavoce Ulrika Englesson ha spiegato che, quando il marchio entra in un nuovo Paese, cerca di conciliare i suoi valori con la cultura locale. Tuttavia, ventiquattro ore dopo, ha chiesto scusa. Oltre a lasciar intuire che la decisione è stata presa lontano dalla sede centrale, la multinazionale ha assicurato che verificherà tutti i suoi sistemi di lavoro in Arabia Saudita. Solo tre giorni prima di questo scandalo, Ikea ha cancellato dal suo sito web russo una foto caricata da un cliente. Nella foto apparivano ragazze sedute su un divano, con dei passamontagna, come quelli della band punk Pussy Riot, membre delle quali sono state incarcerate per aver protestato in una chiesa.
Se un tale polverone alzato dalla storia delle foto non è parte di una nuova strategia commerciale dell’industria, il suo nuovo presidente Peter Agnefjll – che dal 1 settembre sostituisce Mikael Ohisson – ha davanti uno scoglio con cui probabilmente non ha ancora mai fatto i conti.
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