Di Anwar al-Jamawi. Al-arabi al-Jadid, (17/02/2018). Traduzione e sintesi di Sabrina Campoli.
Dopo la rivoluzione del 2011, la Tunisia ha assistito alla crescita e alla nascita di nuove piattaforme di comunicazione che hanno coinvolto i cittadini nel dibattito sulle questioni di interesse pubblico. Il problema però è che dopo anni di lotte e manifestazioni per raggiungere la democrazia, i nuovi canali mediatici tunisini hanno continuato ad attuare una politica di odio attraverso la divulgazione di missive e articoli di giornale, contenenti frasi e slogan che non lasciano molto spazio all’immaginazione, anzi, dichiarano apertamente il loro pensiero: “morirete per la vostra esasperazione”, “non andrete avanti”, “la Repubblica delle banane” e ancora, “ci vendicheremo”, “ci prenderemo la rivincita”.
È noto che i media, nelle diverse forme e canali, contribuiscono come mezzo di comunicazione e di espressione alla formazione della coscienza collettiva e al comportamento dell’individuo all’interno della comunità, ma i loro incitamenti alla violenza e alla ribellione non fanno altro che minacciare la stabilità e la pace sociale.
Secondo un rapporto pubblicato da due associazioni tunisine (il Consiglio nazionale delle libertà e la rete dell’Alleanza per le donne tunisine) il 90% delle testate giornalistiche tunisine contiene discorsi di esortazione all’odio, il 13% dei mass media invita in maniera esplicita a fare ricorso alla violenza e il 58% delle piattaforme mediatiche trasmette discorsi provocatori o di parte. Il Sindacato dell’Associazione dei giornalisti ha osservato più volte le centinaia di violazioni attuate da parte dei mass media tunisini, attraverso insulti, espiazione, discriminazione e la difesa basata sulla violenza; per questo motivo, la Suprema Commissione per la comunicazione audiovisiva ha emesso dozzine di atti puntivi nei loro confronti, a causa delle violazioni della dignità umana.
Alcune campagne mediatiche hanno come scopo quello di promuovere la vittoria di un partito a discapito di un altro, oppure condurre il popolo e l’opinione pubblica verso un movimento di protesta; ma questi modelli di mass media, guidati dal potere degli affari e da un’ideologia chiusa, nascondono la verità e non si impegnano nella ricerca e nel desiderio di questa, anzi, attraverso i loro errori, incitano alla violenza tutta la società tunisina. Per questo motivo c’è bisogno di far chiarezza su quella che può essere un’equilibrata propaganda mediatica, che guarda al pluralismo, all’obiettività e soprattutto al rispetto degli altri, per il raggiungimento di una democrazia costruttiva e positiva.
Anwar al-Jamawi è un professore e ricercatore tunisino, ha vinto il Premio arabo per le scienze sociali e umane per promuovere la ricerca scientifica.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu
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