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Quattro uomini e tre errori di calcolo

Obama e Putin Di Raghida Dergham. Dar al-Hayat (21/06/2013).  Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Questa settimana quattro uomini hanno lasciato il segno nella storia: il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il Presidente russo Vladimir Putin, il neoeletto Presidente iraniano Hassan Rohani e il Primo Ministro turco Recep Tayyip Erdogan.

Obama ha consolidato l’isolazionismo e l’adesione alla titubanza. Putin ha perseverato nella sua iniziativa mostrando insistenza e ostinazione. Rohani è salito alla presidenza indossando il mantello della moderazione e della riforma. Erdogan guida ormai solo una parte del Paese. Questi quattro uomini hanno lasciato segni spaventosi e sorprendenti in un mondo che oscilla tra visioni contraddittorie e polarizzanti.

Il presidente Barack Obama ha “vuotato il sacco” prima di dirigersi verso il vertice del G8  in Irlanda del Nord. Al giornalista Charlie Rose della rete PBS Obama ha ribadito la volontà di non rimanere coinvolto in Siria e il “no” a una no-fly zone che richiederebbe la partecipazione della NATO e che comunque non potrebbe né salvare vite umane né alterare il corso del conflitto. A ciò si aggiunge un altro “no” riguardante la creazione di corridoi umanitari per salvare i civili nelle aree controllate dall’opposizione siriana.

Forse però la cosa più sorprendente in questa intervista di Obama è quanto detto a proposito dei sunniti e degli sciiti nella guerra in Siria. Il presidente degli Stati Uniti ha detto che rifiuta di schierarsi con i sunniti nel conflitto siriano perché ciò non servirebbe gli interessi americani. Il Presidente ha così determinato la posizione degli Stati Uniti nella guerra in Siria, una posizione più vicina alla Repubblica islamica dell’Iran che ai tradizionali alleati del Consiglio di Cooperazione del Golfo.

I “no” di Obama hanno evidentemente incontrato le richieste avanzate da Putin, il quale si era fermamente opposto alla creazione di una no-fly zone e di corridoi umanitari, nonché a rifornire l’opposizione siriana con armi più avanzate. Tutto ciò che Obama voleva da Putin erano poche concessioni sulla posizione di Bashar Al-Assad nel processo di transizione politica in Siria, ma il Presidente russo  è stato inflessibile su questo punto tanto da rifiutarsi di parlare del destino di Assad nella dichiarazione del vertice del G8 o alla conferenza di Ginevra 2 che secondo lui possiede la chiave per una soluzione politica in Siria. Vladimir Putin ha quindi trionfato in Irlanda del Nord e ha offerto la sua vittoria a Bashar Al-Assad.

Nel frattempo, il neoeletto Presidente iraniano è il volto nuovo di cui ha bisogno il regime dei mullah di Teheran in quest’importante fase di transizione. Di lui si dice che sarà l’uomo che romperà l’isolamento internazionale e che conterrà l’impatto delle sanzioni contro l’Iran. Il nodo cruciale, per quanto riguarda la tregua con l’Occidente, è la questione nucleare. Tregua messa però in pericolo dal coinvolgimento dell’Iran in Siria e dalla violazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1773, che vieta di armare una delle parti al di là dei suoi confini. È per questo che una delle principali sfide per Rohani si trova in Siria.

A Istanbul, invece, Erdogan è caduto per la somma della propria arroganza e presunzione. Il popolo turco,  per il suo laicismo, non ha accettato di essere prosciugato per il bene del fondamentalismo religioso e di raggiungere la gloria nel nome del califfato dei Fratelli musulmani. Un popolo che è risorto e ha costretto Erdogan a rendere conto delle libertà sottratte in nome della prosperità economica o della religione.

Quindi quattro uomini lasciano tre eredità, in merito alle quali la storia può testimoniare che sono stati commessi errori di valutazione, mentre le speranze riposte nella quarta sono piuttosto deboli.