Dal blog In poche parole di Zouhir Louassini.
Di Zouhir Louassini. Osservatore Romano (30/03/2017).
“Mio marito è cristiano e io sono musulmana. Qual è il problema?” questo il titolo di un articolo pubblicato da Elham Manea in risposta a chi ha criticato la sua scelta di sposarsi con un uomo di fede diversa dalla sua. L’articolo gira nella rete con commenti di tutti i tipi. Gran parte dei quali criticano la donna non solo per aver ammesso di essere sposata con un cristiano, ma di dichiararsi orgogliosa di averlo fatto.
In effetti un problema c’è. Nell’islam è permesso il matrimonio dell’uomo con una donna appartenente alla “gente del libro”: ebrea o cristiana. Per la donna, invece, è diverso: è assolutamente vietato. A meno che l’uomo non decida di convertirsi alla fede islamica.
Da qui l’importanza della storia di Manea che, con parole semplici e dirette, dichiara il suo affetto per il marito svizzero, disapprovando quella che lei considera una legge ingiusta e poco razionale. Quello che importa, dice Manea nel suo articolo, è che ci sia amore e rispetto.
“Mio marito è di religione cristiana ma io vedo in lui, dopo 23 anni di matrimonio, il solo uomo che mi ispiri fiducia”, scrive l’editorialista yemenita; e continua: “lui con il suo credo ed io col mio. Nostra figlia l’abbiamo educata a credere nell’amore e a considerare che le sue scelte religiose sono private e sempre rispettate”.
Elham Manea, scrittrice e attivista per i diritti umani, denuncia il “doppio registro”, predominante in gran parte del mondo arabo islamico. Rispondendo ai critici, narra la sua evoluzione intellettuale che si riflette nel suo linguaggio, a volte apparentemente polemico: “Ho smesso di essere ipocrita, ho smesso di dire quello che non penso, ho smesso di dire menzogne. Per questo dichiaro oggi che mio marito è cristiano perché so che quando si è convertito all’islam, tanti anni fa, lo ha fatto solo per amore nei miei confronti. Conosceva le nostre leggi che lo hanno spinto a diventare musulmano solo per sposarmi”.
La battaglia di Manea continua: “le mie letture coraniche mi hanno convinto che la legge che vieta alle donne nel mondo islamico di sposarsi con un non musulmano è solo un’eredità culturale maschilista che non ha niente a che vedere con la fede. In Yemen, per esempio, ci sono tribù che vietano persino di sposarsi con uomini che non appartengano al medesimo clan. Un’altra dimostrazione che religione e fede c’entrano poco o niente con questa regola assurda”.
È, questo, solo l’ennesimo episodio di un annoso dibattito che impegna le società arabo-islamiche. Non tutto è bianco o nero. Ci sono molte sfumature. Elham Manea è tra le voci più ferme contro l’estremismo di chi usa la fede islamica per giustificare l’odio. Lo fa in quest’articolo e in tanti altri, scritti per provare ad aprire un dibattito schietto sulla tradizione, la religione, la cultura.
Lo fa con coraggio e in lingua araba per essere ben capita da tuti: anche da estremisti e fanatici. Lo fa perché crede, come alcuni di noi, che la lotta contro il terrorismo “islamico” passa soprattutto per il superamento di una logica ormai malata, che usa le religioni come strumenti di odio, dimenticando il vero senso della fede.
Rimane il fatto che il marito si è convertito formalmente all’islam e, salvo pubblica ritrattazione, resta un apostata… giusto per chiamare le cose con il loto nome.