Di Zouhir Louassini. Osservatore romano (05/05/2017).
Quando gli ulema del Marocco pubblicano un documento sull’apostasia, nel quale viene riconosciuta la libertà di cambiare fede religiosa; oppure quando Al-Azhar propaga una “Dichiarazione sulla cittadinanza” nella quale si scindono, per la prima volta, i diritti civili dall’appartenenza religiosa, allora possiamo dirlo: questi non sono piccoli cambiamenti, ma una vera rivoluzione! Un processo grazie al quale l’islam, certo con fatica, sta cercando di uscire da questo momento buio della sua storia. L’ultimo segnale in questa direzione ci arriva dall’Egitto.
Il sottosegretario al Ministero egiziano per le dotazioni religiose (al-Awqaf) – lo sheikh Salem Abdul Jalil – aveva definito, in un programma televisivo, i cristiani e gli ebrei come “infedeli” perché rifiutano di seguire gli insegnamenti del profeta Mohammed, aggiungendo che “sono chiamati a convertirsi all’islam prima di morire, se vogliono evitare la punizione divina riservata agli infedeli dopo la vita terrena”. Dichiarazioni di questo tono sono state a lungo il pane quotidiano dei media egiziani, senza che provocassero alcuna reazione.
Questa volta, invece, le polemiche intorno al “povero” predicatore non accennano a placarsi, a partire dalla stessa Al-Azhar che ha condannato le sue parole.
L’università più prestigiosa del mondo islamico sunnita non ha usato mezzi termini per criticare la posizione del sottosegretario. L’ha fatto con energia e chiarezza perché dichiarazioni del genere minano “i rapporti con i nostri concittadini e fratelli cristiani”, riferendosi chiaramente ai copti, che costituiscono il 10% degli egiziani. Al-Azhar, come tante altre istituzioni islamiche, criticata spesso per l’uso di un doppio linguaggio, uno chiuso per il consumo locale e un altro più aperto per i mass media stranieri, questa volta è stata all’altezza delle circostanze. Era ora.
La reazione negativa alle esternazioni dello sheikh è stata così forte che ha portato il ministero responsabile (al-Awqaf) ha sconfessarlo e a vietargli di predicare nelle moschee. Non solo: alcuni avvocati hanno deciso di denunciarlo all’autorità giudiziaria con l’accusa di oltraggio alla religione. Jalil potrebbe comparire davanti ai giudici il prossimo 25 giugno.
È una questione del tutto nuova per l’Egitto. In passato ci sono stati processi contro cristiani o musulmani accusati di aver offeso l’islam. Questo potrebbe essere il primo processo a carico di un musulmano accusato di aver offeso il cristianesimo e l’ebraismo.
Questi eventi fanno seguito al viaggio del Papa al Cairo. Gran parte dei mass media arabi sono riusciti a spiegare il messaggio del pontefice come un sostegno all’islam sano, quello maggioritario nel mondo, escludendo qualsiasi confusione mossa da chi afferma che “tutti i musulmani sono terroristi”. Appoggiare quelli che non si riconoscono nella brutalità del terrorismo significa averli come alleati per fermare un’ideologia assassina che non ha niente a che vedere con la religione. I risultati di questa strategia si sono visti subito in Egitto. E questo senza dubbio è un punto a favore di chi crede nell’amore e nella fratellanza degli esseri umani.