Assurto agli onori della cronaca ed al successo planetario grazie alla trasposizione cinematografica del grande Bernardo Bertolucci, “Il tè nel deserto” viene a ragione considerato il capolavoro di Paul Bowles, affermato scrittore statunitense, trasferitosi in Nord Africa, a Tangeri per la precisione, dove morì nel 1999.
La storia narra le vicende di una coppia di coniugi americani, Port e Kit Moresby che, in crisi ed annoiati dalla troppo prevedibile vita borghese, si recano in Nord Africa per intraprendere un viaggio non da turisti ma da veri viaggiatori.
I due, protagonisti di reciproci tradimenti e pentiti riavvicinamenti, appaiono completamente affascinati dalle atmosfere esotiche dei luoghi che si trovano a visitare, a partire dalla città di Tangeri per poi proseguire sempre più verso sud e verso il grande deserto del Sahara, la loro meta finale, luogo agognato e temuto insieme.
Le vicende dei due protagonisti si intrecciano con quelle di altri personaggi occidentali, anch’essi in viaggio attraverso le polverose strade alle porte dell’area desertica, tutti contraddistinti da ambiguità e da, a dir poco, discutibili atteggiamenti morali.
Il fascino suscitato dalle intricate viuzze delle città e dei villaggi, il mistero delle casbah e dei bazar ricchi di colori, profumi, ma anche puzze e mosche a volontà, l’ammaliante mistero sprigionato dagli sguardi degli indigeni, siano essi belle donne o uomini possenti, sono gli ingredienti con cui si saziano e si stordiscono i nostri due protagonisti.
L’Africa alle porte del Sahara viene descritta come un luogo di perdizione, ma anche un posto pieno di magia e di fascino al quale gli imborghesiti occidentali non riescono a resistere, pur dovendo soccombere al sudiciume, al cibo immangiabile ed all’ambiguo atteggiamento di molti, indigeni e non, che incroceranno sul loro cammino.
Ma è proprio fra questi profumi e queste puzze, fra questi paesaggi allucinanti e bellissimi che solo il deserto sa regalare, fra la diffidenza e la generosità del popolo indigeno la coppia dei Moresby cercherà di ritrovarsi, ignara che il deserto detterà la sua sentenza finale, facendoli perdere definitivamente.
Tutti i personaggi che si muovono nel romanzo sembrano sfidare la vita, in una continua ricerca degli eccessi, mai sazi, mai paghi. E il deserto, con la ripetitività dei suoi paesaggi, con l’annullamento delle distanze, ma anche con il continuo mutare delle forme, diventa il luogo ideale in cui perdersi per poi ritrovarsi, fintanto che ci si riesce.
Bowles in questo romanzo mescola sapientemente la drammatica esperienza di una coppia in crisi con il tentativo di resuscitare un amore in un ambiente nuovo, misterioso, affascinante e temibile al tempo stesso. Le lunghe digressioni dei protagonisti sul senso della vita, sull’amore e sulla morte sono elementi che si innescano alla perfezione nel mosaico del paesaggio desertico, dove il nulla apparente riesce a comprendere e far risaltare ogni aspettativa, ogni desiderio, ogni anelito di nuova vita. E sarà proprio nel deserto che si compiranno le vite dei due protagonisti, come metafore dell’arrendersi alla morte e del ribellarsi alle regole, due esperienze apparentemente contraddittorie che invece il deserto rende praticabili entrambe.
Sicuramente questa è stata l’esperienza come viaggiatore dello scrittore ma garantisco che allo stato attuale
e non estraniandosi ma bensi’ immedesimarsi nel quotidiano della vita di quella popolazione si vivono le nostre
identiche problematiche e le vicende narrate dimostrano che non basta il viaggio nel deserto per risolverle.